Ferie residue da smaltire entro il 30 giugno, cosa rischia il dipendente?

Simone Micocci

28 Giugno 2023 - 13:18

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Ferie residue, si avvicina la scadenza del 30 giugno. Cosa rischia il dipendente che non le smaltisce in tempo?

Ferie residue da smaltire entro il 30 giugno, cosa rischia il dipendente?

Per quanto riguarda le ferie residue - ossia maturate dal dipendente ma non ancora smaltite - c’è una scadenza a cui bisogna prestare particolare attenzione: si tratta del 30 giugno di ogni anno, entro quando, secondo la legge, il lavoratore deve aver fruito di tutte le ferie maturate al 31 dicembre di due anni prima.

In poche parole, entro il 30 giugno 2023 il dipendente deve aver smaltito tutte le ferie maturate nell’anno 2021: a tal proposito, ricordiamo che la legge riconosce a ogni lavoratore almeno 4 settimane di ferie ogni anno, obbligando il datore di lavoro a farne fruire almeno 2 entro l’anno di maturazione e le restanti nei 18 mesi successivi.

Da qui la scadenza del 30 giugno, quando appunto tutte le ferie maturate due anni prima devono essere fruite dal dipendente. Ma quanto il lavoratore deve stare attento a questa scadenza? Il timore dei più è che superato questo termine le ferie ancora residue vadano perse, ma non è così.

Come vedremo di seguito, infatti, a tener conto della scadenza del 30 giugno sono perlopiù i datori di lavoro, in quanto per il dipendente non ci sono conseguenze né negative - come potrebbe essere la perdita delle ferie residue - né positive, come ad esempio la loro monetizzazione.

Le ferie sono un diritto irrinunciabile per il lavoratore

Per capire le ragioni per cui la scadenza del 30 giugno non ha impatto sul lavoratore bisogna chiarire che le ferie retribuite, riconosciute dalla legge (Decreto Legislativo 66 del 2003) al fine di consentire il recupero delle energie nonché la realizzazione delle esigenze personali e familiari, sono un diritto irrinunciabile.

Ciò significa due cose:

  • il datore di lavoro è obbligato a farne fruire entro i limiti consentiti dalla legge;
  • il dipendente non vi può rinunciare, neppure dietro la promessa di un pagamento. Tuttavia, a partire dal 24 settembre 2015, in applicazione del Decreto legislativo n. 151 del 2015, è stato introdotto un nuovo istituto che consente la cessione a titolo gratuito di riposi e ferie a quei colleghi che necessitano di assistere i figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti.

Tolta quest’ultima eccezione, quindi, il dipendente deve sempre fruire delle ferie che possono essere monetizzate, se residue, solamente alla cessazione del rapporto di lavoro.

Spetta comunque al datore di lavoro l’ultima parola su quando far fruire le ferie, in quanto va sempre tenuto conto delle esigenze aziendali. Ecco perché la normativa lascia ampio spazio all’azienda, stabilendo che per far fruire delle 2 settimane di ferie eventualmente residue c’è tempo altri 18 mesi, quindi fino al 30 giugno di due anni dopo.

Cosa succede alle ferie non godute dopo il 30 giugno?

Niente, proprio per le ragioni appena indicate. La suddetta data è infatti un punto di riferimento per i soli datori di lavoro, mentre per i dipendenti non cambia nulla: se ci sono ferie residue dopo il 30 giugno non andranno perse e se ne potrà godere in un successivo momento, a seconda delle esigenze. Potranno essere monetizzate, avendo diritto così a un giorno di stipendio per ogni giorno di ferie residuo, solamente alla cessazione del rapporto, con le ferie non godute che si andranno ad aggiungere alle altre competenze.

Non c’è quindi alcuna fretta di smaltire tutte le ferie non godute, ma se guardiamo la situazione dal punto di vista dell’azienda la situazione cambia in quanto c’è persino il rischio di doversi fare carico di una sanzione.

Cosa rischia l’azienda se ci sono ferie residue dopo il 30 giugno

Per l’azienda, invece, la data del 30 giugno è molto importante: intanto perché per le ferie ancora residue si versano i contributi come se di fatto fossero state godute (con scadenza fissata al 21 agosto 2023).

Ma se questa potrebbe sembrare una conseguenza di poco conto - d’altronde prima o poi i contributi li avrebbe dovuti comunque versare - non lo è il fatto di doversi far carico di una sanzione il cui importo varia a seconda del numero di dipendenti interessati, nonché per eventuali recidività:

  • da 120 a 720 euro quando le violazioni sono relative a un solo anno e che riguardano al massimo 5 lavoratori;
  • da 480 a 1.800 euro quando violazioni si sono verificate per almeno due anni e hanno coinvolto più di 5 lavoratori;
  • da 960 a 5.400 euro quando le violazioni si sono verificate per più di 4 anni oppure hanno coinvolto almeno 10 lavoratori.

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