Licenziamento per giustificato motivo, la guida: differenze tra oggettivo e soggettivo

Simone Micocci

14/10/2021

Licenziamento per giustificato motivo, una guida completa: differenze tra oggettivo o soggettivo, tutti gli esempi.

Licenziamento per giustificato motivo, la guida: differenze tra oggettivo e soggettivo

Capire quando si parla di licenziamento per giustificato motivo - sia esso oggettivo che soggettivo, è molto importante se non si vogliono commettere errori ed evitare una contestazione da parte del dipendente.

Come noto, le cause del licenziamento si dividono in due grandi insiemi: la giusta causa (o anche detto disciplinare) e il giustificato motivo. A sua volta questo si divide in giustificato motivo oggettivo e soggettivo, dei quali parleremo in questa guida dedicata mettendo alla luce le differenze.

Facendo chiarezza su quali sono le casistiche che giustificano il licenziamento si può rispondere anche a una delle domande più frequenti che si fanno i lavoratori ai quali viene interrotto il contratto: in quali casi il licenziamento per giustificato motivo è illegittimo e dunque ci sono i presupposti per una impugnazione?

Licenziamento per giustificato motivo

È l’art. 3 della legge 604/1966 a definire il licenziamento per giustificato motivo, ossia quella rescissione del contratto di lavoro che si verifica per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (nel caso del motivo oggettivo), o per “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro” (motivo soggettivo).

Possiamo dunque riassumere dicendo che si parla di motivo soggettivo quando il licenziamento dipende da un comportamento del lavoratore, mentre il motivo oggettivo da necessità aziendali.

A tal proposito il controllo di legittimità da parte del giudice, in caso di contestazione del licenziamento da parte del lavoratore dipendente, si traduce nella verifica dell’attinenza tra il giustificato motivo e la fine del rapporto di lavoro, non potendo egli sindacare sulle scelte aziendali e, quindi, sul fatto che il licenziamento fosse inevitabile.

Su questa linea sono le disposizioni dell’art. 30 (Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro), comma 1, della legge n. 183/2010:

“Il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente”.


Affinché il licenziamento per giustificato motivo sia legittimo, però, devono sussistere determinate condizioni di cui vi parleremo nel prosieguo dell’articolo.

Differenze tra licenziamento per giustificato motivo oggettivo e soggettivo

Mentre il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è un licenziamento economico che inerisce alle condizioni economiche dell’azienda, il giustificato motivo soggettivo è relativo a un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro”, come stabilito dall’art. 3 della legge 604/1966.

L’inadempimento da parte del lavoratore giustifica il datore di lavoro a risolvere il contratto:

  • rispettando il termine di preavviso stabilito dalla contrattazione collettiva in base all’inquadramento;
  • tenendo conto dell’anzianità del lavoratore.

Di quale natura deve essere l’inadempimento del lavoratore oggetto del licenziamento? La legge 604/1966 parla di un adempimento degli obblighi contrattuali in generale e si richiama all’art. 1455 del Codice Civile relativo all’importanza dell’inadempimento:

“Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”.


Da ciò ne consegue che il datore di lavoro è legittimato a procedere con il licenziamento solo nei casi in cui l’inadempimento sia più grave di quello di non scarsa importanza.

Quando il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è legittimo

In primo luogo, in riferimento alla generalità delle ipotesi, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è legittimo se è verificato il notevole inadempimento di obblighi contrattuali da parte del lavoratore.

L’inadempimento del dipendente deve essere dunque:

  • non di scarsa importanza (in caso contrario, l’inadempimento legittima soltanto l’applicazione di una sanzione disciplinare conservativa, che non determina il recesso dal rapporto);
  • di un obbligo contrattuale, e non extracontrattuale.

L’inadempimento deve inoltre ledere un interesse rilevante per il datore di lavoro. Può trattarsi anche dell’interesse a disporre di un deterrente contro il comportamento irregolare di tutti i dipendenti, cioè dell’interesse dell’imprenditore creditore a reagire per prevenire in futuro il ripetersi dell’inadempimento, anche se l’inadempimento attuale non ha prodotto alcun danno.

Per fare chiarezza a riguardo, di seguito riportiamo alcune casistiche di licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Licenziamento per mancato rispetto delle direttive

L’ipotesi del licenziamento per mancato rispetto delle direttive può costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento in diversi casi, ad esempio se:

  • il lavoratore, dopo essersi opposto alla richiesta di svolgere lavoro straordinario, reagisce sia fisicamente che verbalmente nei confronti del responsabile, non restituisce le lettere di contestazione, e permane presso i locali aziendali, dopo il provvedimento di sospensione dal servizio (come specificato dalla Cassazione nella sentenza n. 8938/2009);
  • il lavoratore manifesta un ripetuto e ingiustificato rifiuto di recarsi in trasferta, nell’ipotesi in cui l’attività dell’azienda sia svolta su scala internazionale e la disponibilità alle trasferte costituisca elemento essenziale della prestazione lavorativa;
  • il lavoratore, nonostante la sospensione dal servizio e dalla retribuzione, si rifiuta di lasciare il posto di lavoro ignorando i ripetuti inviti ricevuti.

Licenziamento per assenze ingiustificate dal lavoro

L’assenza ingiustificata dal lavoro può costituire giustificato motivo soggettivo di licenziamento quando il dipendente non si presenta in azienda perché si rifiuta di svolgere mansioni di livello inferiore, a parità di retribuzione, in alternativa al licenziamento.

L’assenza ingiustificata dal lavoro può costituire invece giusta causa di licenziamento, se il dipendente non comunica gli impedimenti al regolare svolgimento dell’attività, che determinano la necessità di assentarsi per diversi giorni, arrecando al datore di lavoro un pregiudizio organizzativo, oppure se non comunica le motivazioni dell’assenza dal servizio, o fornisce informazioni non veritiere.

Licenziamento per falsificazione di documenti e dati aziendali

La Cassazione, con la sentenza n. 1099/2007, considera legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo nel caso in cui il lavoratore abbia falsificato la registrazione delle presenze (nel caso di specie, un responsabile di un negozio aveva indicato come presente un lavoratore assente e gli aveva fatto recuperare ore di straordinario precedentemente rese e non registrate).

Licenziamento per divulgazione di documenti e dati aziendali

La Cassazione, con la sentenza n. 20715/2013, ha giudicato legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo del dipendente che aveva estratto una mailing list aziendale (cui avevano accesso tutti i dipendenti) e l’aveva trasferita sul computer del sindacato, per inviare alcune email.

Licenziamento per negligenza

La Cassazione reputa legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo in caso di comportamento negligente del dipendente, ad esempio per:

  • mancata colposa custodia di beni patrimoniali dell’azienda;
  • sinistro stradale nello svolgimento delle mansioni di autista.

Licenziamento per scarso rendimento

Lo scarso rendimento del dipendente, nella generalità dei casi, è considerato un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, in quanto attiene alla persona del lavoratore.

Per scarso rendimento si intende un inadempimento notevole, imputabile al lavoratore: ad esempio, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per scarso rendimento quando, per causa imputabile al dipendente, si verifica un’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento.

Per valutare lo scarso rendimento bisogna però tener conto della media dei risultati conseguiti dai vari dipendenti, mentre non bisogna considerare il raggiungimento di una soglia minima di produzione (come chiarito dalla Cassazione nelle sentenze n. 3125/2010 e n. 1632/2009).

Lo scarso rendimento del dipendente può anche costituire un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, quando, pur non dipendendo da un comportamento negligente del lavoratore, causa la perdita totale dell’interesse del datore di lavoro alla prestazione.

Questo si verifica, ad esempio, in caso di reiterate assenze per malattia del lavoratore che rendono lo svolgimento delle sue mansioni oggettivamente impossibile, ripercuotendosi sull’organizzazione dell’impresa (come chiarito dalla Cassazione, con la sentenza n. 18678/2014).

Licenziamento per omissione d’informazioni rilevanti

In alcuni casi, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo può essere causato dal non aver comunicato all’azienda delle informazioni importanti.

Questo può verificarsi, ad esempio, quando il dipendente, nel ruolo di supervisore, non comunica al datore di lavoro che i lavori sottoposti al suo controllo sono svolti da società partecipate da propri familiari.

Quando il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo

Dopo aver analizzato il giustificato motivo soggettivo, concentriamoci su quello oggettivo e su quando questo è legittimo. In primo luogo, in riferimento alla generalità delle ipotesi, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo se:

  • la riorganizzazione dell’impresa è effettiva e fondata su circostanze realmente esistenti al momento della comunicazione del recesso, e non riguardante circostanze future ed eventuali;
  • esiste un collegamento tra la riorganizzazione aziendale e il licenziamento del lavoratore;
  • la scelta del dipendente da licenziare avviene secondo correttezza e buona fede, senza discriminazioni; per evitare contestazioni, è possibile fare riferimento ai criteri di scelta previsti dalla legge per i licenziamenti collettivi;
  • è verificata l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni (il cosiddetto repêchage);
  • è rispettato il preavviso, o viene corrisposta la relativa indennità sostitutiva.

Licenziamento per cessazione dell’attività produttiva

L’ipotesi della cessazione dell’attività produttiva, o di chiusura dell’attività, è considerata una delle situazioni in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo. Lo ha chiarito da tempo la Cassazione, con la sentenza n. 7417/1994: in caso di chiusura dell’azienda, il datore di lavoro non ha difatti altra scelta che licenziare la totalità del personale.

Licenziamento per soppressione del posto o del reparto cui è addetto il lavoratore

Se il reparto o il posto a cui è assegnato il dipendente viene soppresso, l’imprenditore può legittimamente procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Questo, come specificato dalla Cassazione nella sentenza n. 18780 /2015, può avvenire anche se non vengono soppresse tutte le mansioni svolte dal lavoratore licenziato, che possono essere soltanto diversamente ripartite e attribuite al personale già in forza.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto o del reparto cui è addetto il dipendente è legittimo anche se il riassetto sopravviene nel corso o al termine del periodo di preavviso, se l’imprenditore persegue un’effettiva scelta di riorganizzazione aziendale. Lo ha chiarito la Cassazione, con le sentenze n. 6710/2013 e n. 3848/2005.

Licenziamento per esternalizzazione delle mansioni affidate al lavoratore

La Cassazione considera legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo anche nel caso in cui le mansioni del lavoratore siano affidate ad altre imprese, cioè esternalizzate: lo ha chiarito con la sentenza n. 6346/2013. L’esternalizzazione costituisce infatti una riorganizzazione finalizzata ad una migliore efficienza gestionale e ad un incremento della redditività d’impresa.

Licenziamento per introduzione di nuove tecnologie

Se in azienda sono introdotti nuovi macchinari o attrezzature, che necessitano di un minor numero di addetti, oppure di addetti con una professionalità specifica, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore è considerato legittimo, perché finalizzato alla riorganizzazione aziendale ed al raggiungimento di un maggior vantaggio per l’impresa. Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza n.14034/2004.

Licenziamento per ridimensionamento dell’attività imprenditoriale

Non è invece considerato legittimo, secondo la Cassazione (sentenze n.20534/2015 e n. 19616/2011) il licenziamento a causa di un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale. Perché il recesso dal rapporto di lavoro sia giustificato, difatti, deve essere almeno finalizzato al raggiungimento di un maggior profitto per l’impresa, o volto al miglioramento dell’efficienza e della redditività.

In ogni caso, il giudice non può sindacare sull’opportunità e sulla congruità delle scelte tecniche, organizzative e produttive. La riorganizzazione dell’impresa deve comunque essere effettiva e non pretestuosa.

Licenziamento per sopravvenuta infermità

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo anche quando la sua causa è la sopravvenuta infermità permanente o indeterminabile del dipendente.

L’infermità deve essere determinata da ragioni che non dipendono dal lavoro svolto e deve comportare l’inidoneità, anche parziale, a svolgere le mansioni assegnate.

In questi casi, secondo la Cassazione (sentenza n. 3224/2014) il licenziamento è giustificato dall’impossibilità sopravvenuta della prestazione; il datore di lavoro può intimare il licenziamento senza attendere necessariamente il compimento del periodo di comporto, cioè del periodo di conservazione del posto.

Perché il licenziamento per sopravvenuta infermità sia legittimo, nel dettaglio, devono sussistere le seguenti condizioni:

  • stato di malattia tale da non consentire di determinarne la durata;
  • assenza in capo al datore di lavoro di un apprezzabile interesse alle prestazioni lavorative, anche ridotte, del dipendente;
  • impossibilità di adibire il dipendente ad altre mansioni senza cambiare l’assetto organizzativo dell’azienda.

Queste condizioni devono essere verificate al momento dell’intimazione del licenziamento; per i lavoratori assunti col contratto a tutele crescenti, l’illegittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo per sopravvenuta infermità può comportare le conseguenze previste per il licenziamento discriminatorio.

Licenziamento per scarso rendimento

Lo scarso rendimento del dipendente, nella generalità dei casi, è considerato un giustificato motivo soggettivo e non oggettivo di licenziamento, in quanto attiene alla persona del lavoratore.

Può però costituire un giustificato motivo oggettivo di licenziamento quando, anche se non dipende da un comportamento negligente del lavoratore, causa la perdita totale dell’interesse del datore di lavoro alla prestazione.

Questo si verifica, ad esempio, in caso di reiterate assenze per malattia del lavoratore che rendono lo svolgimento delle sue mansioni oggettivamente impossibile, ripercuotendosi sull’organizzazione dell’impresa (come chiarito dalla Cassazione, con la sentenza n. 18678/2014).

Può anche verificarsi per inidoneità del lavoratore allo svolgimento dei compiti affidatigli, per mancanza delle capacità e della preparazione necessarie: in questo caso, difatti, il recesso dal rapporto di lavoro non si ricollega ad un comportamento negligente del dipendente, ma ad una sua originaria carenza di preparazione specifica in relazione ai compiti a lui affidati.

Licenziamento per provvedimenti delle autorità

I provvedimenti delle autorità che riguardano il dipendente e che rendono la sua prestazione non eseguibile possono determinare, secondo la giurisprudenza, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, dunque un’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In questi casi il datore di lavoro può recedere dal rapporto, a prescindere dalla durata del provvedimento, se:

  • perde l’interesse alle future prestazioni lavorative, in rapporto all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al suo regolare funzionamento;
  • il lavoratore non può essere adibito ad altra mansione, almeno equivalente.

È legittimo, ad esempio, il licenziamento per sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione dovuto al ritiro del porto d’armi o della patente di guida (come specificato dalla Cassazione nella sentenza n. 12719/1998), o alla scadenza del permesso di lavoro o di soggiorno.

Licenziamento per carcerazione

La carcerazione, anche preventiva, del dipendente costituisce un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione. In particolare, il licenziamento è legittimo quando la durata della detenzione fa venire meno l’interesse del datore di lavoro alla prosecuzione del rapporto.

Il licenziamento per carcerazione non costituisce un’ipotesi di giustificato motivo oggettivo, invece, se il procedimento penale a carico del dipendente evidenzia la gravità della condotta del lavoratore, al punto tale da pregiudicare il legame fiduciario col datore di lavoro: in queste ipotesi il recesso dell’imprenditore ricade nell’ambito del licenziamento disciplinare.

Licenziamento per giustificato motivo: gli obblighi del datore di lavoro

Il datore di lavoro che licenzia un proprio dipendente deve giustificare la sua decisione - il motivo oggettivo - e addurre prove sull’impossibilità di occupare il lavoratore anche per mansioni equivalenti a quelle precedenti.

S tratta del cosiddetto obbligo di repechage che - come ribadito dalla Cassazione nella sentenza 5963 dell’11 marzo 2013 - “va riferito limitatamente alle attitudini ed alla formazione di cui il lavoratore è dotato al momento del licenziamento con esclusione dell’obbligo del datore di lavoro a fornire tale lavoratore di un’ulteriore o diversa formazione per salvaguardare il suo posto di lavoro”.

L’onere probatorio a carico del datore di lavoro, quindi, deve essere contenuto nell’ambito delle circostanze di fatto e di luogo reali . Inoltre, dopo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro, per un certo periodo, non deve procedere con nuove assunzioni.

Cosa fare quando il lavoratore è inidoneo?

Nei casi di sopraggiunta inidoneità del lavoratore alle sue mansioni, il datore di lavoro deve collocare il lavoratore stesso a mansioni equivalenti, superiori o inferiori pur di non sciogliere il rapporto di lavoro.

Infatti, nei casi di inidoneità fisica del lavoratore il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non è giustificato quando egli possa essere collocato anche a mansioni inferiori, conservando il livello retributivo della mansione iniziale.

Casi di licenziamento per giustificato motivo, ad esempio, possono essere quelli connessi alla perdita dei requisiti per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Nello specifico:

  • sospensione della patente per l’autista;
  • sospensione del porto d’armi per la guardia giurata.

Quando il licenziamento per giustificato motivo è illegittimo?

La prima ipotesi in cui il licenziamento per giustificato motivo è illegittimo inerisce ai casi di manifesta infondatezza.

Il licenziamento suddetto è un licenziamento economico e la sua giustificazione non può addurre cause quali l’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, intimato prima della fine del periodo di comporto (periodo in cui il lavoratore ha diritto di assentarsi per ragioni legate alla salute) per gravidanza, malattia o infortunio.

In questi casi il giudice accerta l’illegittimità del licenziamento, annullandolo, e condanna il datore di lavoro:

  • alla reintegrazione del lavoratore;
  • al risarcimento del danno.

Quest’ultimo deve essere commisurato all’ultimo stipendio di fatto, inerente al periodo intercorso tra l’intimazione del licenziamento e la reintegrazione effettiva, nella misura di 12 mensilità, al netto dell’aliunde perceptum (ovvero l’eventuale importo percepito dal lavoratore qualora si sia rioccupato tra la data del licenziamento e quella della pronuncia giudiziale) e l’aliunde percipiendum (danno arrecato al datore di lavoro dal lavoratore, che si sarebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza).

Il datore è tenuto anche al pagamento dei contributi previdenziali, tenendo conto della misura differenziale tra quanto il lavoratore avrebbe potuto versare se non fosse stato licenziato e quanto ha versato effettivamente.

La seconda ipotesi di licenziamento per giustificato motivo illegittimo è relativa alla mancanza di estremi del GMO e vi si applica la tutela sancita dall’art. 18, comma 5.

In questo caso il datore di lavoro è obbligato al versamento di un’indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità, computate sull’ultimo stipendio di fatto e in relazione:

  • all’anzianità di servizio;
  • al numero di dipendenti;
  • alle dimensioni dell’attività economica;
  • al comportamento delle parti;
  • il comportamento del lavoratore nella fase di conciliazione;
  • l’impegno del lavoratore nella ricerca di un nuovo lavoro.

Gli ultimi due punti sono oggetto di perplessità e dubbi circa gli strumenti adottati dal giudice per verificare dette circostanze.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è illegittimo anche per difetto formale o di motivazione. In questi casi si applicano le procedure già descritte.

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