Web tax: l’Italia perde 3mld€ all’anno. Ecco proposte e novità Legge di Bilancio 2017

Anna Maria D’Andrea

21 Novembre 2016 - 16:13

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Web tax: senza un’imposta sui colossi web l’Italia perde 3 miliardi di euro all’anno. Due emendamenti alla Legge di Bilancio riaccendono la discussione. Ecco di cosa si tratta, proposte e novità.

Web tax: l’Italia perde 3mld€ all’anno. Ecco proposte e novità Legge di Bilancio 2017

Web tax: acceso dibattito in commissione Bilancio alla Camera sugli emendamenti presentati alla Legge di Bilancio 2017. Nel dettaglio è la proposta Civati e Pastorino a dividere.

Sono due gli emendamenti in questione che propongono di introdurre nel 2017 l’obbligo per chi vende i servizi online di dotarsi di partita Iva per essere tassato nel Paese dove vengono prodotti i profitti; l’obiettivo è in sostanza di tassare i colossi del web sui ricavi prodotti in Italia ma i due emendamenti non sembrerebbero destinati ad essere affrontati, almeno per il momento.

Gli emendamenti sono stati accantonati e nella Legge di Bilancio 2017 non ci sarà spazio per la web tax. Intanto la proposta fa tornare in auge l’argomento e impegna Governo e Parlamento a tornare a discuterne.

Non è certo la prima volta che la questione viene affrontata e immediatamente accantonata: si tratta di un tema che non interessa soltanto l’Italia e che deve essere affrontato secondo una prospettiva internazionale, per evitare chiusure e un effetto boomerang che finirebbe per diventare uno svantaggio, questo secondo il viceministro dell’Economia Morando.

Eppure con l’introduzione della web tax l’Italia potrebbe beneficiare di importanti entrate nelle casse dello Stato ma, soprattutto, si aprirebbe la strada per un mercato dei servizi online più equo. Ma cos’è la web tax e perché la proposta divide il Parlamento? Ecco tutti i dettagli sugli emendamenti alla Legge di Bilancio 2017.

Web tax: l’Italia perde 3mld€ all’anno. Ecco proposte in Legge di Bilancio 2017 e novità

Tassare o non tassare i colossi del web: questo il tema che divide il Parlamento. La web tax, secondo il viceministro dell’Economia Enrico Morendo è un tema da affrontare ma non per ora. Questa la risposta agli emendamenti presentati dalla sinistra PD e nello specifico da Civati e Pastorino.

La sostanza è che tutti riconoscono la necessità di introdurre la una tassa sui servizi online ma i dubbi sono tanti. Una web tax potrebbe ora rivelarsi un boomerang e trasformarsi in una penalizzazione per l’Italia. Per questo gli emendamenti sono stati accantonati, così come la possibilità, almeno per il momento, che l’Italia inserisca la web tax tra le norme tributarie a carico delle imprese web estere che fanno profitti in loco.

Ma, nello specifico, di cosa si tratta? Gli emendamenti proponevano di inserire l’obbligo di partita Iva italiana per chi vende servizi online, così come per chi vende spazi pubblicitari che, secondo la proposta, potrebbero essere acquistati soltanto dai soggetti titolari di partita Iva italiana.

Web tax accantonata, ma soltanto per ora. Le parole di Morendo suonano al momento come una promessa e come un appuntamento in calendario ma di una legge in grado di regolamentare internet pare bisognerà ancora farne a meno.

Eppure all’Italia la web tax potrebbe portare a grandi vantaggi economici. L’ultimo appello a Governo e Parlamento per introdurre la web tax a partire dal 2017 era arrivato dalle associazioni Adoc, Confconsumatori, Movimento Consumatori, Associazione Consumatori Serenissima. Quali sarebbero i vantaggi per l’Italia e, soprattutto, quanto si potrebbe guadagnare con una tassa sui colossi del web?

Web tax: l’Italia potrebbe guadagnare 3 miliardi di euro l’anno

Una stima di quanto potrebbe entrare nelle casse dello Stato tassando i colossi web arriva dalle principali associazioni dei consumatori, firmatarie della campagna online Digital Tax anche in Italia lanciata sulla piattaforma progressi.org.

“I giganti dell’economia digitale come Apple, Google, Ebay, Amazon, Facebook, Uber e AirBnB fanno enormi profitti in Italia ma non pagano le imposte come le altre imprese del nostro Paese. Questo è possibile perché i loro profitti – anche se prodotti in Italia – sono contabilizzati in Paesi a fiscalità privilegiata, come l’Irlanda e i Paesi Bassi”.

Nell’analisi proposta dai promotori della campagna online, con l’introduzione di una web tax con aliquota al 20% nelle casse dello Stato potrebbero entrare circa 3 miliardi di euro, quanto mai utili all’Italia in questo periodo per finanziare la ricostruzione delle zone colpite dai terremoti, abbassare la pressione fiscale delle imprese italiane e introdurre nuove misure di assistenza per le fasce più svantaggiate della popolazione.

Bisogna aspettare l’Europa? Ad oggi non è stata trovata alcuna soluzione da Ocse e Unione Europea e afferma Vittorio Longhi, presidente di progressi.org:

“Con la pressione fiscale che c’è nel nostro Paese, è inaccettabile che le multinazionali digitali straniere facciano affari per milioni di euro senza però pagare le stesse imposte delle piccole imprese italiane, dei lavoratori autonomi e dipendenti. Nel contesto economico globale non ci dobbiamo rassegnare a essere consumatori passivi, almeno pretendiamo equità”.

Per il momento bisognerà attendere ancora ma non è detto che l’Italia non si doti di coraggio e non decida di fare da apripista in Europa, introducendo per prima una web tax in grado di garantire l’equità fiscale e importanti vantaggi economici per il Paese.

Web tax: dal 2013 ad oggi. Tante proposte e nulla di fatto

Eppure in Italia una web tax c’era. Si trattava della prima e unica misura introdotta dal Governo Letta con la Legge di Stabilità approvata nel 2013, stralciata dal subentrato Renzi con uno dei decreti salva-Roma nell’anno successivo.

La promessa di introdurre una web tax, allora chiamata digital tax o Google tax, era arrivata poi nel settembre del 2015 proprio da Matteo Renzi, non più disposto ad aspettare l’Europa. L’Italia sarebbe andata avanti da sola e la tassa sui profitti dei colossi web avrebbe dovuto vedere la luce proprio nel 2017. Un “principio di giustizia sociale” che non sarebbe stato in grado di risollevare l’economia del Paese ma che avrebbe aperto le porte all’equità.

Il 2017 è ormai alle porte ma tra le tante proposte e le innumerevoli novità fiscali la web tax sembra ancora un miraggio. Il motivo di tanto temporeggiare è che la web tax dovrebbe essere introdotta come imposta a livello europeo perché è innegabile si tratti di un tema che non coinvolge soltanto l’Italia; la regolamentazione dei grandi player dell’economia digitale mondiale dovrebbe essere affrontata in ottica internazionale ma, ad oggi, tutto sembra tacere.

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