“Mi sono sentita stuprata”, “No, te la sei cercata”: scoppia il caso Emy Buono dopo la festa scudetto

Luna Luciano

12/05/2023

Emy Buono ha denunciato di essere stata vittima di abusi sessuali durante la festa dello scudetto, ma in molti l’hanno accusata di «essersela cercata»: Ecco perché è problematica questa frase.

“Mi sono sentita stuprata”, “No, te la sei cercata”: scoppia il caso Emy Buono dopo la festa scudetto

Subire una violenza sessuale per poi sentirsi dire “te la sei cercata”. È questo ciò che è accaduto a Emy Buono, protagonista del programma Ti spedisco in convento su Discovery e de La Pupa e il Secchione su Mediaset.

Un momento di gioia e di festa, come può essere la vittoria dello scudetto del Napoli - la squadra del cuore di Buono - si è presto trasformato in un incubo per la giovane influencer che, dopo alcuni giorni dai festeggiamenti, ha deciso di dar voce a quanto accaduto.

La giovane sarebbe scesa in piazza a festeggiare la vittoria e avrebbe deciso di “denudarsi” parzialmente. In seguito, però, alcune persone si sono permesse di palpeggiarla e baciarla, abusando di lei.

Sono stata abbastanza triste in questi giorni date tutte le critiche che ho ricevuto. Mi sono sentita stuprata. È vero che mi sono denudata ma non volevo dare il mio corpo in pasto alle persone.

A seguito della denuncia, la giovane non ha trovato solidarietà nel web, anzi una buona parte degli utenti ha commentato il suo abbigliamento attribuendole la colpa, confermando e rafforzando un sistema che colpisce le vittime e deresponsabilizza gli abuser. Ecco cos’è il victim blaming e quali sono le sue conseguenze.

Il caso Emy Buono, cosa è accaduto e perché è corretto parlare di violenza sessuale

Dopo essere scesa a festeggiare per le strade tinte di azzurro, Emy Buono aveva deciso di esprime la gioia per la vittoria del Napoli anche attraverso il proprio corpo, decidendo quindi di “denudarsi” parzialmente, atto legittimo dato che ognuno è libero di disporre del proprio corpo. Eppure, dopo tale scelta, alcuni tifosi si sono sentiti “autorizzati” a toccarla senza il suo consenso, palpeggiando o addirittura baciando il suo fondoschiena. Episodio che le ha generato grande disagio, sofferenza, raccontando di “essersi sentita stuprata”.

Eppure, in molti si sono permessi di accusare la Buono di “essersela cercata” e di “star esagerando”, quando non è così. Quel “mi sono sentita stuprata” e il dolore della giovane non possono essere invalidati. Emy Buono è stata vittima di violenza sessuale.

Stando all’articolo 609 bis del Codice penale, compie reato di violenza sessuale chi con “violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”. Con atti sessuali si intendono tutti quei contatti che coinvolgono il corpo della vittima; quindi, ogni contatto fisico forzato e non voluto è una violenza sessuale, non si parla solo di stupro ma anche di baci, carezze, abbracci e “palpate” senza consenso.

Perché dire “te la sei cercata” è sbagliato: cos’è il victim blaming

Frasi come sei esagerata o te la sei cercata” non fanno altro che provare a ridimensionare e a invalidare l’esperienza traumatica vissuta dalle vittime di violenza, come sta accadendo a Emy Buono. Queste frasi sono espressione evidente del victim blaming, fenomeno della cultura dello stupro ben radicata nelle società patriarcale, dove si accusa le vittime di essere loro la causa e la colpa per la quale hanno subito violenza (sessuale, psicologica o economica).

Il victim blaming (dall’inglese “colpevolizzazione della vittima”) non fa altro che colpevolizzare le vittime, deresponsabilizzando i veri artefici della violenza, tramite antichi - ma poi non così tanto antichi - retaggi culturali di stampo patriarcale. Accusare Emy Buono di “essersela cercata”, perché ha deciso di spogliarsi, non è che il tentativo di spostare l’obiettivo e il focus dalla vera causa della violenza: l’oggettificazione sessuale del corpo femminile e l’assenza di una reale cultura del consenso.

I tifosi si sono sentiti “autorizzati” ad abusare del corpo della vittima - cosa che avviene a prescindere da quale tipo di abbigliamento si indossi. Ancor peggio a rafforzare il fenomeno del victim blaming, giungono le testate giornalistiche che hanno descritto l’accaduto come un momento in cui i tifosi sono andati in “estasi”, “esagerando” e “spingendosi un po’ oltre”.

Narrazione che non fa altro che alimentare l’immaginario collettivo per la quale gli uomini non sarebbero in grado di controllare i propri istinti, costringendo le donne a “controllare” il proprio corpo, privandosi di libertà fondamentali come quella di poter camminare la sera da sole, o di poter decidere come vestire - o svestire - il proprio corpo, senza sentirsi in pericolo.

Perché dire “te la sei cercata” è sbagliato: quali sono le conseguenze del victim blaming

Il victim blaming oltre ad avere ripercussioni psicologiche sulle vittime, si trova tra le cause per le quali le donne vittime di violenza non denunciano.

Stando ai dati Istat solo un terzo delle vittime di violenza sessuale riesce realmente a denunciare, ma quello che tutte le vittime sanno è che al momento della denuncia saranno costrette a rivivere il trauma e, nel caso in cui l’episodio di violenza diventasse noto all’opinione pubblica o su internet, si rischia di subire attacchi della stampa conservatrice e dagli utenti online, i quali in buona parte si domanderanno “cosa la vittima abbia fatto per meritarsi quella violenza”, sempre che di violenza si tratti, perché si sa, le donne sono bugiarde e denunciano “per la visibilità”, come ha ricordato in una recente intervista l’attore Luca Barbareschi.

Emy Buono ha ragione in Italia siamo “sicuramente arretrati”, specialmente se si pensa che il governo Italiano non ha rinnovato la convenzione di Istanbul contro la violenza di genere.

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