Perché Matteo Renzi vuol fare un nuovo partito

Alessandro Cipolla

16/09/2019

Nonostante la nascita del Conte bis che ha riportato il Partito Democratico al governo insieme al Movimento 5 Stelle, Matteo Renzi torna a evocare una scissione che potrebbe essere ufficializzata tra un mese alla Leopolda.

Perché Matteo Renzi vuol fare un nuovo partito

Mentre il centrosinistra potrebbe iniziare ad aprirsi anche a livello elettorale al Movimento 5 Stelle, con Luigi Di Maio che non ha escluso una convergenza per le elezioni regionali in Umbria di fine ottobre, tornano a essere insistenti le voci di una nuova scissione in seno al Partito Democratico.

In un’intervista al Corriere fiorentino Matteo Renzi ha risposto in merito a una possibile creazione di un suo nuovo partito con un serafico “le chiacchiere stanno a zero, di politica nazionale parleremo alla Leopolda e sarò chiaro come mai in passato”.

Ultimo casus belli è la mancata presenza di toscani tra ministri, viceministri e sottosegretari del nuovo governo Conte bis, che ha fatto gridare a una sorta di epurazione dei renziani da parte del segretario Nicola Zingaretti.

La de-toscanizzazione dell’esecutivo giallorosso non sarebbe però un fatto scatenante per questa separazione: Matteo Renzi ha deciso da tempo di staccarsi e dare vita a un nuovo partito, ma prima di farlo vuole creare delle condizioni politiche a lui favorevoli per non rischiare di fare un salto nel buio.

Il nuovo partito di Matteo Renzi

Nelle ultime settimane Matteo Renzi è riuscito a ottenere tutto quello che voleva. Quando Nicola Zingaretti era già pronto alle elezioni anticipate, è stato lui ad aprire tra lo stupore generale (soprattutto quello di Matteo Salvini) a un governo con il Movimento 5 Stelle.

Quello che sembrava essere impossibile è così divenuto realtà, con renziani e grillini che hanno deposto la loro ascia di guerra e adesso siedono uno di fianco all’altro, obtorto collo, tra gli scranni del governo Conte bis.

La nascita dell’alleanza giallorossa paradossalmente può essere però una ulteriore spia della imminente nascita di un nuovo partito guidato da Matteo Renzi, con il Partito Democratico che di recente dopo quella dei bersaniani ha dovuto anche fare i conti pure con la scissione di Carlo Calenda che ho dato concretezza al suo progetto Siamo Europei come conseguenza del patto con i pentastellati.

Se da una parte l’ex premier ha giustificato il governo con i 5 Stelle con l’urgenza di “salvare” il paese dall’aumento dell’Iva, dall’altra c’è l’evidenza che delle elezioni anticipate a inizio novembre sarebbero state una catastrofe per i renziani.

Visto il poco tempo a disposizione, due mesi scarsi dallo scioglimento delle Camere al voto, Renzi non avrebbe mai fatto in tempo a creare un nuovo partito praticamente dal nulla e presentarsi agguerrito in ogni circoscrizione.

Andare alle urne e rimanere tra le fila del Partito Democratico, avrebbe poi significato per i renziani subire una autentica purga nella compilazione dei vari listini. Se in questo momento il senatore di Rignano può controllare la maggior parte dei deputati dem, con una nuova legislatura sarebbe stato Zingaretti ad avere pieno potere anche tra deputati e senatori.

Il momento giusto per l’uscita dal PD

Dal 18 al 21 ottobre a Firenze si terrà la Leopolda, l’evento simbolo di Matteo Renzi dove l’ex premier ha annunciato che sarà “chiaro come mai in passato” a riguardo della possibile nascita di un suo nuovo partito.

Se la Camera a breve dovesse approvare in maniera definitiva la riforma del taglio dei parlamentari, vorrebbe dire che tra tempistiche varie non si potrebbe tornare al voto prima di un anno, anche di più se qualcuno raccogliesse le firme per indire un referendum a riguardo.

Sforbiciare deputati e senatori vorrebbe dire rivedere per forza di cose l’attuale legge elettorale, che potrebbe essere anche cambiata radicalmente con un ritorno al proporzionale puro dicendo così addio alla parte maggioritaria presente invece nel Rosatellum.

Con un sistema di voto proporzionale e le elezioni lontane almeno un anno, a quel punto per Matteo Renzi ci sarebbero tutti i presupposti per attuare quella scissione dal Partito Democratico da tempo ipotizzata.

Come fatto da Salvini durante l’esecutivo gialloverde, i renziani potrebbero fare una sorta di opposizione interna al governo Conte bis per ottenere visibilità a attestarsi come unica forza moderata e progressista nel paese.

Il proporzionale in più garantirebbe al nuovo partito una discreta rappresentanza in caso di elezioni, deputati e senatori che poi potrebbero avere un ruolo decisivo se ci dovessero essere delle trattative post voto per la formazione di un governo.

Se alla Leopolda ci dovesse essere l’annuncio da parte di Renzi dell’addio al PD, questo non vorrebbe dire l’automatica caduta di Conte ma con ogni probabilità la formazione di un nuovo gruppo parlamentare sempre all’interno della maggioranza di governo.

Come ipotizzato da Calenda, una volta ottenuto il proporzionale e organizzato il partito a livello nazionale, a quel punto Renzi potrebbe staccare la spina al governo giallorosso così come fatto a inizio agosto da Salvini.

Al leader della Lega il piano però non è riuscito alla perfezione, ma questa volta in caso di una scissione le elezioni potrebbero essere davvero inevitabili a meno di un clamoroso ritorno di fiamma tra i 5 Stelle e il Carroccio: visti gli ultimi sviluppi, l’unico totem al momento nella politica italiana è che non si può dare nulla per scontato.

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