Leena El Deeb: «La blockchain? Un’arma. Ma da usare per sconfiggere la guerra»

Sara Bracchetti

10/06/2022

Una tecnologia che stravolgerà il mondo, ma per salvarlo: parola della crypto-giornalista e ricercatrice fra le più quotate, ospite al MetaForum di Lugano.

Leena El Deeb: «La blockchain? Un’arma. Ma da usare per sconfiggere la guerra»

Guerra, arte, blockchain: la sfida è a scovare un punto di incontro fra mondi così in apparenza disinteressati l’uno all’altro. Capita invece un giorno che si ritrovino insieme, perfino con un certo grado di naturalezza, dentro alle parole di chi nella sua vita ha guardato la guerra con terrore, vissuto la blockchain con passione, usato l’arte per trarre il buono dell’una e donarlo all’altra.

L’occasione che si presenterà a Lugano, il prossimo lunedì 13 giugno, è dunque più unica che rara: ospite del MetaForum, evento che raccoglierà in Svizzera il fiore degli specialisti dell’industria crypto, Leena El Deeb, giornalista economica di base a Il Cairo, terrà una conferenza dal titolo quantomeno singolare. «The art of war is an NFT», “l’arte della guerra è un NFT”: acronimo di Non fungible token, a significare opere digitali accompagnate da un certificato di proprietà non replicabile, conservato su una rete di blockchain.

In rappresentanza di 21Shares, società di Zurigo leader nel mercato degli ETP sulle criptovalute, Leena porterà il conflitto russo-ucraino nel bel mezzo dei dibattiti più avanzati sulla blockchain.

Leena, la guerra che cosa c’entra in tutto questo?
«La risposta va cercata nel mio background. Il tema della guerra non è esattamente eccitante: è terrificante. Ma è qualcosa che mi ha sempre circondato, fin da bambina. Da quando sono nata, nel 1994 a Il Cairo, ho sempre avuto guerre intorno a me: Libia, Libano, Medio Oriente. Non c’era conversazione in cui non si menzionasse, in cui non si chiamasse in causa la politica. Tutto questo mi ha condotto fino a qui, in maniera naturale: a cercare di capire l’impatto che i conflitti hanno sulle comunità degli uomini. Ho fatto la scuola di giornalismo, volevo diventare corrispondente di guerra».

Invece sarai a Lugano in un convegno dedicato alla blockchain: qual è il punto di contatto?
«La vita, lo sappiamo, prende direzioni imprevedibili. Un giorno sono stata introdotta alla blockchain e ne sono rimasta affascinata: per me è stato davvero facile unire le due cose. La blockchain può c’entrare molto con la guerra, per esempio se ti trovi in un posto dove sconvolge il sistema bancario. Così sono diventata una ricercatrice. Il mio scopo era ancora lì, assieme ai miei interessi e al mio desiderio di aiutare le persone coinvolte in un conflitto a sopravvivere attraverso la tecnologia della blockchain. A Lugano lo proverò a raccontare».

Non temi che il titolo del tuo speech rischi di venire equivocato?
«“The Art of war” è un libro di strategia militare scritto da un generale cinese nel VI-V secolo a.C. La prima cosa che farò al microfono sarà scusarmi con il pubblico. Sono sicura poi che tutto si chiarirà. Anche perché non saranno solo parole: gli NFT effettivamente possono aiutare l’Ucraina. Non è una mera questione di importi, ma di velocità e semplicità del processo di donazione tramite blockchain rispetto ai metodi tradizionali».

Chi donerà che cosa, a chi e come?
«A marzo è stato creato un museo di opere d’arte digitali NFT, chiamato “museo della guerra”: una sorta di cronologia dell’invasione dell’Ucraina raccontata attraverso gli NFT allo scopo di raccogliere donazioni attraverso la loro vendita. È una dimostrazione di come la tecnologia della blockchain, nell’ambito di un conflitto, possa avere altri risvolti ed essere usata non solo per finanziare gli eserciti, ma per dare alla popolazione cibo, acqua, alloggi. Le applicazioni buone ci sono e sono più d’una».

In quali altri modi può la tecnologia aiutare il mondo?
«Sempre a Lugano parlerò anche del Cloud e di come sia in grado di aiutare la gente ad avere accesso a un’informazione più trasparente, nel futuro ma anche nel presente, attraverso notizie, fotografie, video e altro materiale caricato online, senza il rischio di essere tracciati e monitorati da qualsivoglia governo. È qualcosa che già esiste e che vedremo svilupparsi sempre di più. Un terzo aspetto riguarda i pagamenti: analizzerò il caso di un gruppo di ragazze afgane e di un’accademia che dà supporto alle persone cui non è consentito avere un’istruzione o un’entrata, come sono le donne sotto il regime talebano, ad accedere al denaro e procurare sussistenza alla famiglia utilizzando la tecnologia».

Saranno promosse anche raccolte fondi?
«No, l’obiettivo è didattico e ha l’intento di offrire i concetti fondamentali della tecnologia e il quadro del suo possibile sviluppo. Proprio per questo, alla fine della presentazione farò riferimento allo «stato della crypto», attingendo a un report che è consultabile online gratuitamente. Un QR code sarà messo a disposizione per accedere liberamente alla ricerca».

C’è chi ancora ha idee troppo vaghe, se non nulle, di quello che significhi. Il mondo è davvero pronto per tutto questo?
«Siamo ancora agli inizi, c’è parecchio da fare e tutto è in evoluzione, ogni giorno. Ma è l’urgenza, il bisogno che si crea a rendere la blockchain accessibile. I vantaggi sono diversi: rispetto al sistema bancario, per esempio, è più facile da usare, più rapida, non ha bisogno di intermediari. Si trova sotto il controllo di chi la utilizza».

Ancora troppo pochi, non trovi?
«Questo è un ostacolo da superare. Ci sono ancora molte persone da istruire e non sarà così facile come è stato per esempio per il web 2.0 e i social. La cosa è parecchio dibattuta, ma è il destino di ogni nuova tecnologia. Anche internet, all’inizio, non era semplice da usare, ragion per cui risultava confinato alle istituzioni e all’ambito militare. Oggi invece è così facile connettersi a una rete wifi. Credo che per il web 3.0 sia questione di pochi anni. Giusto adesso si sta compiendo la rivoluzione dell’informazione».

L’informazione però ha ancora un grosso problema, sotto i nostri occhi: la propaganda. La blockchain che cosa può fare?
«Esistono diversi progetti basati sulla blockchain che possono contenere, se non addirittura sconfiggere, la propaganda. In quale modo? L’ho accennato prima, dando accesso a chiunque voglia caricare online foto, documenti, senza subire il monitoraggio del potere. Si tratta di una informazione decentralizzata, priva di controllo e condizionamento, a differenza di quello che invece accade con Facebook. Nel web 3.0 c’è una piattaforma aperta a chiunque voglia dare il proprio contributo, secondo la propria agenda, il proprio modo di vedere, creando contenuti gratuiti».

I governi non apprezzano. Riusciranno a fermare la blockchain?
«Hanno cercato di fermarla e poi hanno provato ad adottarla, perché fermarla non si può. È il bello di internet: una strada alla fine la si trova comunque. Siamo esseri sociali, amiamo la libertà: troveremo sempre un modo per avere ciò che ci viene proibito. Se impedisci a qualcuno di fare qualcosa, vorrà farla, anche se prima sembrava non interessargli. Alcuni Paesi continueranno a desiderare di fermare la blockchain, proveranno a bandirla, assieme ai suoi progetti. Ma oggi vediamo anche molti Paesi che cercano di adottarla. Il motivo è banale: chi non lo fa, resta indietro».

Quanto ha contato la pandemia nell’accelerare questo processo?
«Molto. Le persone si sono trovate sole e ciò le ha rese più consapevoli e desiderose di capire meglio. Anche la crisi finanziaria generata dal Covid ha giocato un ruolo, favorendo una blockchain priva di vincoli. Non voglio dire che la pandemia ha aiutato la blockchain, ma posso dire che ha aiutato le persone a conoscerla meglio».

Donne comprese?
«Credere che le donne non siano brave o capaci di capire la tecnologia è un clamoroso malinteso. È la conseguenza e l’essenza di una società patriarcale e della maniera in cui sono stati cresciuti i bambini. Negli anni Cinquanta, per esempio, chi aveva un figlio e una figlia dava alla femmina una bambola e un set di cucina, al maschio una macchina o la pistola. Ma se dai a una bambina la macchina, crescerà in modo diverso. Non c’è alcuna differenza biologica fra uomo e donna, la capacità è identica e lo spazio per la creatività e l’innovazione esiste per tutte. Se ci sono poche donne in questa industria, è solo perché sono mal rappresentate nel sistema educativo e lavorativo, trattate iniquamente».

Cambierà mai?
«Sta cambiando. Il primo passo è conoscere il problema. E noi ne stiamo parlando».

Tutto bello, ma la blockchain ha anche un problema di sostenibilità. Consumo di energia, emissioni di CO2: arriveremo a un punto in cui dovremo rinunciare a tutto e tornare indietro perché non ce la faremo più?
«Il tema è molto attuale, visto anche il recente incremento dei prezzi dell’energia. Ma non penso ci sarà una fine. Io sono una sostenitrice delle energie pulite e di un atteggiamento environment-friendly. Del resto, anche il tradizionale sistema bancario produce emissioni. Con questo, non voglio sottrarmi al problema e accusare gli altri. Dico però che anche questo argomento contro la blockchain è una sorta di propaganda. Se la blockchain è sotto attacco, è perché non è sotto il controllo dei governi. I governi possono emettere quanta CO2 vogliono, così le industrie e le banche. Solo i miners però vengono accusati».

Vie d’uscita?
«Nel mondo ci sono diverse opportunità per favorire la blockchain attraverso l’energia pulita. L’Islanda è un esempio, la Norvegia. Ci troviamo davanti a una tecnologia che è in fase di sviluppo, non ha ancora raggiunto la maturità. Il fatto che generi un impatto sull’ambiente non significa che dobbiamo bandirla. Vuol dire solo che dobbiamo lavorare per migliorarla. I benefici che può darci sono di gran lunga superiori ai difetti che in questo momento ha: il nostro compito, adesso, è quello di trovare modi per renderla più sostenibile».

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