Indice S&P500: “bear market rally “o nuovo trend rialzista?

Renato Frolvi

02/08/2022

Le borse USA hanno raggiunto i minimi a metà giugno ma successivamente è iniziato un rimbalzo per l’indice S&P500:

Indice S&P500: “bear market rally “o nuovo trend rialzista?

In un mondo frammentato, caratterizzato da un’inflazione elevata, un rallentamento della crescita e dalla diminuzione della liquidità globale, gli investitori devono cercare fonti di rendimento reale positivo e acquisire un’esposizione a attività in grado di proteggere dall’inflazione elevata e dalla bassa crescita.

Gli investitori dovrebbero cercare le opportunità che potrebbero derivare da un ciclo economico non sincronizzato fra le diverse aree geografiche (alcune potrebbero entrare in recessione, altre no) e da diversi percorsi di politica fiscale e monetaria), ma dopo aver raggiunto i minimi a metà giugno per le borse USA, è iniziato un rimbalzo per l’indice S&P500 che ha raggiunto quasi il 13% da metà giugno a fine di luglio. Si tratta di “bear–market rally” o “bottom” dei mercati? Presto per dirlo. Tuttavia il mese di luglio è stato più che positivo per l’indice S&P500 con un rialzo dell’8% (e per il Nasdaq +11%).

S&P500 da gennaio 2020 ad oggi S&P500 da gennaio 2020 ad oggi Recuperate le medie mobili a 50 e 100 giorni (Fonte Bloomberg )

Il mercato azionario USA può rappresentare una buona opportunità a questi prezzi: in pochi si aspettavano trimestrali sostanzialmente “benigne” dalle Blue Chip americane, e se la FED dovesse iniziare a rallentare il ritmo di aumenti dei tassi di interesse ben prima che il mercato se lo aspetti, il trend rialzista potrebbe continuare e i minimi del 16 giugno 2022 non dovrebbero essere nuovamente toccati.

Certo ci vuole coraggio ad aumentare la quota azionaria dopo quello che è successo dal 1° gennaio al 16 giugno: non è stato un bel 1° semestre e ve ne sarete sicuramente accorti. Le vostre gestioni bilanciate 60% bond e 40% azioni, hanno perso mediamente tra il 9% e il 12% (e questo è successo anche per portafogli “limitrofi “con un equilibrio 70/30), e avete torturato i vostri private banker di riferimento chiedendo loro quando finirà questa “carneficina”.

Il «problema» è che siamo usciti da un 2021 fatto di tassi negativi, spread di credito inesistenti e quindi dividendi yields azionari che erano sempre attraenti, e siamo entrati in un mondo con tassi positivi, banche centrali che continueranno ad alzare i tassi finché l’inflazione non scenderà e rischi geo-politici sempre alti.

E quindi il 2022 vede il raffronto tra dividendi azionari e tassi governativi che lascia sconfitti i primi rispetto ai secondi.
A seguito del grande repricing degli asset del 1° semestre 2022, la forte attrattiva relativa delle azioni rispetto alle obbligazioni si è quindi erosa e l’investimento obbligazionario è diventato sempre più interessante. Nel mondo delle obbligazioni corporate, finalmente si è ristabilita la relazione rischio–rendimento, e sono scomparsi bond targati BB-BBB di rating che nelle scadenze 12 mesi di vita residua avevano rendimenti nulli o addirittura negativi. La correzione in atto nel 2022 per certi versi è stata “sana”: ha fatto pulizia degli eccessi. Come per esempio il mercato delle criptovalute.

Per il 2° semestre 2022, in linea di massima, si può ritenere che gli investitori debbano optare ancora per un’allocazione cauta e bilanciata, mantenendo una moderata esposizione al rischio duration nel portafoglio obbligazionario, ma aumentando il peso dell’equity e selezionando quelle aziende con un cash flow robusto e un utile per azione costante nel tempo, in grado di battere l’inflazione nel medio–lungo periodo.

Non è difficile trovarle, almeno stando alle trimestrali che stanno uscendo in questi giorni, e sicuramente sono azioni già presenti nei portafogli di fondi che il vostro private banker vi ha consigliato. Penso a Banca Intesa, Unicredit, Enel ed ENI per l’Italia, oltre naturalmente a Stellantis. Sugli Stati Uniti Google, Apple, Citi, Ford, Microsoft ed Envidia offrono delle opportunità di lungo termine veramente interessanti, e le trimestrali in uscita sono state ben accolte dal mercato.

Nel reddito fisso in euro è il momento di continuare tatticamente con atteggiamento di aggressione dell’inflazione con i BTP Italia e i titoli governativi europei agganciati all’inflazione europea. Fintanto che l’azione della BCE non si dimostrerà efficace contro il rialzo dei prezzi, conviene approfittare delle “grasse” cedole semestrali che i nostri BTP Inflation Linked sono in grado di garantire ogni 6 mesi.

Negli USA il campanello d’allarme per aumentare definitivamente la quota del peso azionario a scapito del mondo obbligazionario nel vostro portafoglio sarà la discesa dell’inflazione al consumo USA ben al di sotto del 9%, quindi in prossimità dell’8% (attualmente è 9.1%): è il segnale che aspetta la FED per poter dire di aver fatto un buon lavoro e di essere pronta a rallentare il ritmo e l’intensità degli aumenti dei FED Funds. Quando Powell ha timidamente accennato ad un tenore del genere (FED meno aggressiva se recessione e minore inflazione lo impongono) nella conferenza stampa del 27 luglio il Nasdaq ha chiuso con un +4% di performance. Quindi, con l’ausilio di Bloomberg ho fatto un raffronto tra mercati azionari e obbligazionari americani da inizio anno.

Il mercato obbligazionario USA sconta già una sorta di recessione per il 2023, con rendimenti del decennale USA (linea bianca scala di destra) che dai massimi del 3.5% del 17 giugno, fino ad oggi 29 luglio sono scesi al 2.65%. Che l’economia USA possa cadere in recessione nel 2023 mi sembra ancora strano, a giudicare da dati macro-economici ancora robusti (disoccupazione, produzione industriale, consumi, tasso di utilizzo degli impianti, buste paga mensili, richieste di disoccupazione…).

E inoltre i mercati azionari possono salire anche in tempi di recessione, se la recessione è “soft”, perché i mercati anticipano sempre di circa 6/9 mesi il ritorno alla crescita. E per investire in azioni USA con ottimismo, ci possono “aiutare” i mercati obbligazionari americani.

Una ulteriore discesa in area 2.50% del Treasury sarebbe di auspicio per i mercati azionari, che potrebbero continuare il mini-rally in corso da metà giugno ad oggi. Basta guardare nel grafico Bloomberg la correlazione inversa tra rendimento del decennale USA (linea bianca) e indice azionario S&P500 (linea aranciona): la cinghia di trasmissione di questa correlazione inversa sta nelle aspettative di recessione per il 2023 che implicano la fine della politica di rialzi dei tassi della FED. Infatti, a partire dal 17 giugno (barra verticale bianca nel grafico) si può osservare come più scende il tasso di interesse del Treasury 2032 e più sale l’indice S&P500 perché sale l’aspettativa di una FED “più benigna” che interrompe il rialzo dei tassi. D‘altronde la curva di fine luglio dei futures sull’overnight USA (il tasso a 1 giorno interbancario, legato direttamente ai FED funds) segnala un massimo relativo dei FED Funds alla riunione FED di febbraio 2023 con un 3.25%, e poi già una inversione del trend dei tassi ufficiali alla riunione della FED del giugno 2023 con una aspettativa al 3%.

Rendimento Treasury USA 10 anni e indice S&P500 Rendimento Treasury USA 10 anni e indice S&P500 1.1.2022 – 30.7.2022 (Fonte Bloomberg)

Abbiate quindi pazienza per il vostro portafoglio azionario d’oltreoceano. Il 2° semestre del 2022 potrebbe essere più positivo di quel che pensate per il mondo equity americano.

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