Cosa vuole l’Iran? Dalle sue intenzioni può dipendere lo scoppio di una guerra mondiale

Giorgia Bonamoneta

3 Febbraio 2024 - 17:25

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Mentre crescono le tensioni tra Stati Uniti e Iran, una guerra mondiale è sempre meno uno scenario inverosimile. Dalle azioni di chi dipenderà lo scoppio di un conflitto ampio?

Cosa vuole l’Iran? Dalle sue intenzioni può dipendere lo scoppio di una guerra mondiale

La scorsa settimana tre militari statunitensi sono rimasti uccisi in un attacco nel nord-est della Giordania, al confine con la Siria. Il presidente Joe Biden ha subito puntato il dito contro gruppi militari sostenuti dall’Iran che operano in Siria e Iraq.

È stata la rivendicazione di un gruppo, la Resistenza Islamica in Iraq, a confermare le responsabilità. L’attacco è avvenuto in un contesto di estrema tensione, nel quale i gruppi militari rivendicano azioni di guerriglia contro Israele e i suoi alleati, come gli Stati Uniti.

Secondo alcuni commentatori occidentali è sulla volontà dell’Iran che si gioca lo scoppio di una guerra mondiale, anche se basta cambiare punto di vista per poter affermare che basterebbe una presa di posizione statunitense sul genocidio in atto nella Striscia di Gaza per abbassare il livello di tensione ed essere i primi a scrivere la parole “fine” sulla tragedia umanitaria in corso.

Per l’Occidente, a lungo silenzioso di fronte agli attacchi israeliani, è più facile analizzare i crescenti malumori nell’area MENA (Middle East and North Africa) e derubricarli a “guerra regionale”. Tra attacchi degli Houthi e l’intensificarsi degli attacchi da parte dei gruppi armati sostenuti dall’Iran contro le basi militari Usa, il futuro non è roseo.

Cosa vuole l’Iran? Come riporta Al Jazeera, i gruppi sostenuti dall’Iran hanno definito i loro attacchi una “ritorsione per il sostegno di Washington alla guerra israeliana a Gaza” e affermano che minano a spingere le forze Usa fuori dalla regione.

La posizione dell’Iran: in equilibrio precario tra guerra e pace

Resul Serdar, in un report per Al Jazeera, ha spiegato che la posizione dell’Iran è sempre stata piuttosto chiara:

Dicono che questi attacchi non sono condotti e pianificati dall’Iran. Dicono che l’Iran ha alleati in tutta la regione. Tuttavia, questi alleati prendono decisioni anche in base ai propri orientamenti.

Gli iraniani non vogliono un’escalation regionale, perché uno scontro diretto con Israele porterebbe a una guerra con gli Stati Uniti che difficilmente sarebbe vinta. Una posizione comunque in bilico, perché anche se l’Iran prende le distanze, non può negare di finanziare e di addestrare i gruppi che attaccano e uccidono i soldati americani.

All’amministrazione Biden infatti è stata chiesta una risposta adeguata agli attacchi che hanno ucciso e ferito soldati Usa in Giordania.

La risposta degli Stati Uniti: continua nel tempo e nei luoghi

L’esercito statunitense nella giornata di ieri ha risposto agli attacchi in Giordania con dozzine di missili. Come rappresaglia per la morte di tre soldati, le forze Usa hanno colpito obiettivi in Iraq e Siria. Secondo quanto affermato da CENTCOM, il Comando centrale degli Stati Uniti, sono state usate più di 125 munizioni di precisione su centri operativi, centri di intelligence, siti di deposito armi e altre strutture collegate alle milizie legate all’Iran. Il primo attacco in risposta è stato fatto, ma non sarà l’ultimo.

Nel frattempo i media statali siriani hanno parlato “dell’aggressione americana” e fornito dati sulle numerose vittime e feriti causati. Il portavoce militare iracheno, Yahya Rasool, ha dichiarato che gli attacchi Usa costituiscono una violazione della sovranità irachena, rappresentano una minaccia e potrebbero portare conseguenze disastrose per la regione.

Da chi dipenderà lo scoppio di una guerra mondiale?

I responsabili di un allargamento del conflitto potrebbero essere gli stessi Stati Uniti. Sabato 3 febbraio l’Iraq ha ufficialmente dichiarato che gli attacchi aerei Usa hanno ucciso 16 persone, compresi civili, mentre in Siria i morti sono 18.

Il presidente Joe Biden, annunciando gli attacchi notturni, ha dichiarato che “la risposta è iniziata oggi. Continuerà nei tempi e nei luoghi di nostra scelta”. Ulteriori attacchi, sempre stando alle parole fornite da Washington, hanno lo scopo di scoraggiare l’asse della resistenza sostenuto dall’Iran nel mezzo della guerra di Israele a Gaza (Al Jazeera).

Il portavoce del ministero degli Affari esteri iraniano, Nasser Kanaani, ha commentato gli attacchi:

Oltre al sostegno totale degli Stati Uniti per quattro mesi di attacchi implacabili e barbarici da parte del regime sionista contro i residenti di Gaza e della Cisgiordania, e attacchi militari allo Yemen e violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del paese; gli attacchi di ieri sera contro la Siria e l’Iraq sono stati un’altra azione avventurosa e un altro errore strategico del governo degli Stati Uniti che non avrà altro risultato se non quello di intensificare le tensioni e l’instabilità nella regione.

Anche l’Europa ha criticato la decisione Usa all’alba della risposta militare, senza però puntare il dito in maniera diretta. Josep Borrell ha infatti affermato che “tutti dovrebbero cercare di evitare che la situazione diventi esplosiva”. Completamente opposto il commento del Regno Unito, che ribadisce la sua amicizia con gli Stati Uniti sostenendo il loro diritto a rispondere agli attacchi.

Come evitare il conflitto: chi deve agire per la pace

Le forti critiche contro l’Iran e la sua azione di destabilizzazione nel territorio non tolgono però agli Stati Uniti la responsabilità di cercare la pace. Nihad Awad, direttore esecutivo del CAIR (Council on American-Islamic Relations) - nato in un campo profughi palestinese ad Amman (Giordania) - chiede agli Stati Uniti di evitare di intraprendere una guerra in Medio Oriente e di fare sforzi per un cessate il fuoco.

Nihad ha quindi affermato che non saranno ulteriori bombe a costruire un futuro pacifico per la regione. Anche altri analisti concordano sul fatto che scegliere la “strategia dell’indebolimento” non placherà la regione. “Il modo più efficace […] sarebbe un cessate il fuoco a Gaza”, ha spiegato Trita Parsi, vicepresidente esecutiva del Quincy Institute for Responsible Statecraft.

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