Le città d’Italia con più cemento: la classifica di chi ha occupato la gran parte del proprio territorio

Giorgia Bonamoneta

26/07/2022

Le città italiane consumano molto suolo, con conseguenze di degrado del suolo stesso e dei servizi. Ecco le città con il maggior consumo.

Le città d’Italia con più cemento: la classifica di chi ha occupato la gran parte del proprio territorio

Ispra ha pubblicato l’edizione annuale del rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemi”. Il monitoraggio dell’anno 2021 ha dimostrato che le città italiane occupano con il cemento troppo suolo naturale. Il monitoraggio di quest’anno conferma un aumento continuo e significativo delle superfici artificiali rispetto a quelle naturali.

Le città che occupano più suolo pubblico con il cemento, con concentrazioni elevate, si trovano in Lombardia, in Veneto, in Emilia-Romagna e Piemonte. Tale fenomeno inoltre è molto intenso nelle aree di pianura, lungo le coste e nelle principali aree metropolitane. Ma cosa vuol dire consumo di suolo e perché non è un bene?

Una delle conseguenze è il degrado del territorio, ma forse quella più importante è la conseguenza economica. Infatti un maggior consumo di suolo comporta dei “costi nascosti”: negli ultimi 15 anni l’artificializzazione e l’impermeabilizzazione del suolo sono costati 8 miliardi di euro l’anno.

Quali città d’Italia consumano più suolo: la classifica

Nel rapporto di Ispra sul consumo del suolo si legge che tra «il 2006 e il 2021 in Italia sono stati consumati 1153 km² di suolo naturale o semi naturale a causa dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali, con una media di 77 km² all’anno». Il maggior consumo di suolo è avvenuto regionalmente, in ordine decrescente, in Lombardia (12,12%), Veneto (11,90%) e Campania (10,49%). Mentre nell’ultimo anno ad aumentare gli ettari di suolo consumato sono stati in particolare Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia.

Scendendo verso le province il consumo netto è cresciuto tra il 2020-2021 a Brescia, Roma e Napoli. Quelle che invece hanno consumato di meno sono state le province di Trieste, Gorizia e Ancona, mentre nell’ultimo anno la crescita maggiore è avvenuta a Chieti, Pescara e Novara. In termini assoluti è invece la città metropolitana di Roma a confermarsi come la città con la maggiore superficie consumata nel 2021, anche se in calo rispetto all’anno precedente. Insieme a Roma, i comuni che hanno consumato più suolo nell’ultimo anno sono Ravenna e Vicenza, ma anche Reggio Emilia, Catania e Novara.

La classifica dell’aumento di consumo di suolo annuale netto in ettari (ha):

  • Roma, 95,05 ha;
  • Ravenna, 68,66 ha;
  • Vicenza, 42,28 ha;
  • Reggio nell’Emilia, 35,44 ha;
  • Catania, 34,62 ha;
  • Novara, 34,58 ha;
  • Desenzano del Garda, 33,77 ha;
  • Palo del colle, 32,37 ha.

Cos’è il consumo del suolo e quali sono gli aspetti critici

Il consumo di suolo è il processo di trasformazione del territorio che comporta l’alterazione delle funzioni naturali e il passaggio a condizioni artificiali di cui l’impermeabilizzazione rappresenta l’ultimo stadio, scrive Vox. Il consumo di suolo serve a soddisfare i bisogni della popolazione urbanizzata, ma corrisponde anche alla perdita di risorse ambientali fondamentali come le superfici agricole, naturali e semi natural.

Il suolo è essenziale per il benessere dell’ambiente e di conseguenza per l’essere umano, perché è su esso che si produce l’attività agricola, è il suolo che regola il ciclo dell’acqua e il clima e costituisce l’habitat degli organismi viventi, oltre a essere fonte di materie prime e racchiudere cultura, archeologia e il nostro retaggio geologico.

Le conseguenze del consumo di suolo sono aspetti critici, spesso legati al cambiamento climatico. Il consumo di suolo mette a rischio di inondazioni, frane e attività sismiche. Infatti dal 2012 si è persa la capacità di filtrazione dell’acqua con l’aumento dello scorrimento superficiale dell’acqua piovana, si è persa la capacità di produrre 4,2 milioni di quantità di prodotti agricoli, quintali di prodotti legnosi e 3 milioni di tonnellate di stoccaggio di carbonio. Potenzialmente questo danno economico si aggira intorno a 3,6 miliardi di euro all’anno ed è dovuto proprio alla perdita dei “servizi ecosistemi”.

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