Licenziamento in prova: la Cassazione lo dichiara legittimo

Maria Stella Rombolà

18 Luglio 2018 - 12:24

La Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento a termine del periodo di prova anche qualora il datore di lavoro non abbia fornito una giusta causa e anche qualora il dipendente abbia già svolto le stesse mansioni presso precedenti società appaltatrici.

Licenziamento in prova: la Cassazione lo dichiara legittimo

Durante il periodo di prova si può licenziare il lavoratore: è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione che ha dichiarato legittima la conclusione del rapporto di lavoro al termine del periodo di prova.

Il datore di lavoro in questo caso non è soggetto all’obbligo di fornire una giusta causa: la lettera di licenziamento non ha bisogno di motivazioni perché il datore di lavoro ha il diritto di valutare la convenienza di una possibile instaurazione del rapporto di lavoro al termine del periodo di prova decidendo di non proseguire il suddetto rapporto se non è soddisfatto dell’operato del dipendente.

La sezione lavoro della Suprema Corte si è espressa in merito alla questione con l’ordinanza n. 18268 dell’11 luglio 2018 affermando che l’azienda può decidere di licenziare il dipendente in prova legittimamente anche se questi ha prestato servizio svolgendo le medesime mansioni presso più datori succedutisi nell’appalto.

Il caso

La questione è stata sollevata dal caso di un licenziamento alla fine del periodo di prova: al lavoratore non viene data alcuna motivazione della decisione presa e pertanto sceglie di impugnare il licenziamento eccependo la nullità del patto di prova.

Il dipendente in particolare ricorre al Tribunale di Crotone ma sia i giudici di primo sia quelli di secondo grado rigettano il ricorso dello stesso che si scagliava contro la decisione di licenziamento intimato dalla società.

La Corte d’Appello di Catanzaro chiarisce che il licenziamento è da ritenersi legittimo anche se la prestazione era stata già svolta dallo stesso dipendente presso imprenditori che avevano reso il servizio in appalto alla società: questo perché la mansione svolta seppur identica era stata eseguita presso soggetti non legati da rapporti tra di loro seppur facenti parte dello stesso appalto.

I giudici hanno anche chiarito che nel caso suddetto, quindi per un mancato superamento del periodo di prova, vale il principio di libera recedibilità del datore di lavoro: questi non è tenuto a dar conto in alcun modo delle ragioni della decisione presa.

Il ricorso in Cassazione

Il dipendente non accettando la sentenza espressa nei primi due gradi di giudizio è ricorso alla Cassazione apportando le seguenti motivazioni a sostegno della sua tesi:

  • applicazione erronea dell’art. 2096 del Codice Civile;
  • erroneità della prima sentenza nel non considerare rilevante il fatto che il lavoratore avesse svolto le stesse mansioni presso altri imprenditori succedutisi nell’appalto;
  • patto di prova non necessario.

In particolare quest’ultimo punto va chiarito: il patto di prova è un periodo non obbligatorio ma di solito previsto dal contratto collettivo nazionale del lavoro. Questo tempo serve affinché entrambe le parti valutino se trarranno reciproca convenienza dal rapporto di lavoro per un’eventuale stabilizzazione dello stesso. Per approfondire questo aspetto e capire cosa è il patto di prova nel contratto di lavoro e come funziona rimandiamo alla lettura del nostro articolo sul tema.

La sentenza

La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta avanzata dal ricorrente e ha confermato la legittimità del licenziamento per mancato superamento del periodo di prova. La sentenza della Cassazione numero 1180/2017 in particolare chiarisce che:

Il licenziamento intimato durante o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; incombe pertanto sul lavoratore licenziato l’onere di provare sia il positivo superamento del periodo sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e quindi estraneo alla funzione del patto di prova”.

Pertanto la sentenza ribadisce la validità del patto di prova che dovrà essere delegittimata eventualmente direttamente dal lavoratore che faccia ricorso alla giustizia.

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