Reddito di cittadinanza, non verrà più cancellato: dietrofront del governo, così vengono accontentati tutti

Simone Micocci

21 Aprile 2023 - 11:31

Il Reddito di cittadinanza è salvo: cambierà nome, ma di fatto Garanzia per l’inclusione (Gil) e Garanzia per l’attivazione lavorativa (Gal) sono più o meno la stessa cosa.

Reddito di cittadinanza, non verrà più cancellato: dietrofront del governo, così vengono accontentati tutti

Il Reddito di cittadinanza non verrà eliminato: cambierà nome quello sì, ma leggendo la bozza del Decreto lavoro con il quale verrà attuata la riforma delle misure di contrasto alla povertà sembra essere perlopiù un’operazione di rebranding anziché un vero e proprio cambiamento.

Non c’è la stretta agli occupabili, ma vengono solo rese più severe le sanzioni come tra l’altro era già stato fatto con la riforma del Rdc attuata con la legge di Bilancio 2023, e molte famiglie continueranno a prendere un sostegno più o meno pari a quello percepito oggi. Vero che nel frattempo viene rivisto il limite Isee, il che ne ridurrà parzialmente la platea, ma va considerato che nella maggior parte dei casi coloro che prendono il Rdc sono comunque al di sotto della soglia di 7.200 euro fissata per la nuova Garanzia per l’inclusione (Gil), come pure dei 6.000 euro della Garanzia per l’attivazione lavorativa (Pal).

Restano invece i problemi strutturali: dopo mesi di trattazione negativa, in cui veniva incolpato il governo Conte per aver introdotto una misura che lega un sussidio contro la povertà a una politica attiva, ecco che il governo Meloni fa lo stesso vincolando l’accesso alle due nuove prestazioni alla sottoscrizione di un patto di servizio personalizzato. Si confida, quindi, che con la presa in carico dei centri per l’impiego, a cui si affiancheranno questa volta le agenzie private, gli ex beneficiari del Reddito di cittadinanza possano trovare un lavoro in tempi rapidi così da non aver più bisogno del supporto dello Stato.

Un piano che, come vedremo di seguito, sembra essere molto ambizioso ma se non si interverrà su quei problemi strutturali che hanno già impedito il successo del Reddito di cittadinanza si rischia di arrivare a un nuovo fallimento (e spreco di risorse pubbliche).

Perché il Reddito di cittadinanza non viene cancellato

Ascoltando le dichiarazioni fatte da Giorgia Meloni nei mesi scorsi ci eravamo davvero convinti dell’intenzione di cancellare il Reddito di cittadinanza. D’altronde la presidente del Consiglio ha utilizzato parole forti per giustificare l’addio al Reddito, scomodando persino Papa Francesco nel ribadire che la “povertà non si cancella con i sussidi ma con il lavoro”.

A conferma delle sue intenzioni, è arrivata la legge di Bilancio 2023 con cui è stata attuata una prima e importante stretta al Reddito:

  • da una parte stabilendo che nel 2023 se ne potrà godere per un massimo di 7 mesi, limite che non si applica per le famiglie in cui è presente almeno un minore, un disabile o un ultrasessantenne;
  • dall’altra abrogando il decreto n. 4 del 2019, per la sola parte riferita al Reddito di cittadinanza, a partire dal 1° gennaio 2024.

Tuttavia, la stretta agli occupabili è durata poco e già da qualche settimana avevamo capito che il governo stava pensando a un dietrofront: con la bozza del Decreto lavoro, che dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri la prossima settimana, sappiamo infatti che coloro che perderanno il Reddito di cittadinanza nel 2023 potranno comunque accedere a una misura sostitutiva, chiamata Prestazione di accompagnamento al lavoro, con la quale potrebbe essere garantito lo stesso importo percepito a titolo di Reddito di cittadinanza fino al 31 dicembre prossimo.

E dal 2024 ci saranno invece due misure:

  • da una parte la Garanzia per l’inclusione, misura riservata a coloro che non sono stati soggetti della stretta dopo 7 mesi disposta dall’ultima manovra in quanto nel nucleo è presente almeno un minore, un disabile (o percettore di assegno d’invalidità civile) oppure un ultrassessantenne. Cambiano i requisiti (ad esempio l’Isee passa a 7.200 euro), come pure i criteri di calcolo visti i cambiamenti al parametro di scala di equivalenza, ma di fatto la Gil ricalca per molti aspetti il funzionamento del Reddito di cittadinanza. Intanto la durata, di 18 mesi la prima volta, 12 mesi la seconda, ma comunque rinnovabile per infinite volte, oltre all’obbligo - per i soli componenti occupabili - di prendere parte a una misura di orientamento al lavoro, con l’obbligo di accettare qualsiasi impiego proposto;
  • dall’altra la Garanzia per l’attivazione lavorativa (Gal), misura individuale riservata ai componenti occupabili che fanno parte di nuclei familiari che non possono accedere alla Gil. Anche in questo caso vengono resi più severi i requisiti (l’Isee scende a 6.000 euro) mentre gli importi saranno più bassi (al massimo 525 euro al mese), ma di fatto è comunque meglio rispetto alla prospettiva - annunciata dal governo a più riprese - di non aver più diritto ad alcun beneficio in quanto “è arrivata l’ora di andare a lavorare”. La durata in questo caso è di soli 12 mesi, non rinnovabili, ma non è da escludere che in un secondo momento possa arrivare una proroga laddove il governo si renda conto che se queste persone non lavorano non è (sempre) per loro colpa quanto più a causa di un contesto che non funziona.

Due misure che andranno a sostituire il Reddito di cittadinanza ma non lo cancelleranno: anche se con altro nome, infatti, saranno misure che - seppure in parte - richiamano i fondamentali del diritto a un reddito minimo, più volte ricalcato dall’Unione europea.

Nuovo Reddito di cittadinanza, stessi problemi

Il governo, preso atto che in così poco tempo non è possibile lasciare senza sostegno coloro che si trovano in uno stato di povertà assoluta, ha deciso di continuare col modello Reddito di cittadinanza per quelle famiglie in cui al loro interno sono presenti componenti che meritano di una maggior tutela, sperando che nel frattempo la politica attiva faccia il suo lavoro così da rioccupare gli occupabili presenti nello stesso nucleo. Allo stesso tempo viene fissato un periodo di transizione per tutti gli altri occupabili, i quali per 12 mesi avranno diritto a un sostegno di 350 euro al mese, 525 nel caso di due componenti richiedenti, con l’obiettivo però di trovare un lavoro in tempi brevi.

Ma restano i problemi che hanno già portato al fallimento del Reddito di cittadinanza.

È vero, infatti, che ci sono circa 1 milione di posti vacanti nelle aziende, ma va detto che solitamente il beneficiario “occupabile” che oggi prende il Reddito mentre domani avrà accesso alla Gil o alla Gal, raramente ha titoli e competenze per ricoprirli. A tal proposito, la ministra Calderone dichiara di puntare sulla formazione: ma lo faceva anche il Rdc, eppure il risultato non è stato quello sperato. Troppo pochi i corsi disponibili, alcune volte anche male organizzati: basterà un anno di tempo - ossia la durata della Gal - per risolvere questo problema strutturale?

Si continua poi a puntare sui centri per l’impiego, che tuttavia restano sotto organico visto anche l’addio dei navigator, ai quali verranno affiancati i servizi privati per il lavoro che però in passato hanno dimostrato di essere poco performanti con coloro che hanno le caratteristiche del percettore di Reddito: persone poco scolarizzate, con esperienze professionali spesso inesistenti e in età avanzata.

D’altronde l’intermediazione, sia pubblica che privata, fino a oggi ha raggiunto dei risultati davvero insoddisfacenti: basti pensare che poco più dell’1% di chi ha un lavoro lo ha trovato grazie ai servizi resi da centri per l’impiego e agenzie per il lavoro.

Perché la riforma del Reddito di cittadinanza è un’operazione di rebranding

A oggi, quindi, sembra che il governo Meloni abbia pensato a una soluzione che non scontenti nessuno.

Da una parte quell’elettorato che confidava nella cancellazione del Reddito di cittadinanza, il quale viene accontentato poiché di fatto tale misura non esisterà più. Dall’altra invece i percettori di Reddito, i quali - seppure con qualche rinuncia - potranno continuare a confidare su un sostegno.

E poco importa se la soluzione migliore sarebbe stata quella di intervenire direttamente modificando il Reddito di cittadinanza, operazione che sarebbe costata sicuramente di meno rispetto al ripartire da capo con una, anzi due, nuove misure che rischiano di portare allo stesso risultato.

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