WhatsApp, attento a cosa scrivi: queste parole possono costarti caro

Ilena D’Errico

21 Aprile 2024 - 18:35

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Attento a cosa scrivi su WhatsApp, le parole sbagliate possono integrare un reato oppure un illecito e costarti molto caro. Ecco quando e cosa si rischia.

WhatsApp, attento a cosa scrivi: queste parole possono costarti caro

Whatsapp è l’applicazione di messaggistica più utilizzata al mondo e una delle app, a livello generale, con il maggior numero di download. Soltanto tra gli italiani, si contano 33 milioni di utenti che si scambiano ogni giorno una quantità esorbitante di messaggi di testo e contenuti di vario tipo, immagini, video, audio e così via, anche se una buona fetta delle chat è composta proprio da parole scritte. Ciò per l’estrema semplicità di utilizzo, il costo nullo (o comunque ridotto alla connessione internet) e la rapidità.

Questo però non deve portare a sottovalutare le conseguenze delle proprie dichiarazioni, soprattutto quando ci si rivolge a qualcuno o si parla di una persona con toni offensivi, aggressivi o perfino minatori. Su Whatsapp è infatti facile anche commettere un reato o quanto meno un illecito, che può costare molto caro, letteralmente. Ma a quali parole bisogna fare attenzione? Ecco cosa prevede la legge.

Parole che possono costarti caro su Whatsapp

Semplificando, le parole e le frasi che possono arrecare gravi conseguenze agli utenti di Whatsapp riguardano:

  • diffamazione;
  • ingiuria;
  • minacce.

Questi illeciti possono infatti compiersi con una breve frase o addirittura una sola parola, a differenza di reati come lo stalking che presuppone una certa frequenza o ripetitività delle azioni moleste. In particolare, la diffamazione è un reato che punisce chi lede la reputazione morale, personale o professionale altrui in assenza della vittima e in presenza (anche virtuale) di almeno altre due persone.

Questo reato è punito dall’articolo 595 del Codice penale con la reclusione fino a 1 anno o la multa fino a 1.032 euro, pene che aumentano se il reato è aggravato dalla diffusione a mezzo stampa. Occasionalmente, la Corte di Cassazione ha riconosciuto questa aggravante in merito alla diffamazione sui gruppi Whatsapp, ma l’orientamento più recente pare escludere questa ipotesi, non trattandosi di contenuti leggibili da un pubblico indeterminato.

Si ha poi l’ingiuria, che è stata da tempo depenalizzata ed è ora un illecito civile punito con la sanzione da 100 a 8.000 euro, che sale a una multa da 200 a 12.000 euro se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato o l’illecito è commesso in presenza di altre persone. La differenza principale rispetto al reato di diffamazione, infatti, consiste nella presenza della persona offesa che può rispondere alle accuse.

Infine, le minacce di causare a qualcuno un danno ingiusto sono punite con la multa da 1.032 euro, come previsto dall’articolo 619 del Codice penale, salvo aggravanti. È però bene evidenziare che in tutte queste ipotesi la persona offesa ha diritto a chiedere un risarcimento del danno patito che, a seconda delle particolari circostanze, può arrivare a toccare cifre davvero elevate, di certo superiori alle sanzioni pecuniarie appena viste.

Esiste un vocabolario della diffamazione?

Nonostante molti lo cerchino, non esiste un vero e proprio vocabolario della diffamazione, nel senso che non esistono parole che comportano automaticamente un reato o, al contrario, lo escludano. I vocaboli sono neutri, giuridicamente parlando, perciò contano soprattutto l’intenzione di chi li usa, il contesto e l’opinione - media - della collettività. Oltretutto è indispensabile che la vittima sia identificabile facilmente (o presente nell’ipotesi di ingiuria).

Per questo motivo, potenzialmente qualsiasi termine può dar luogo al reato, mentre i vocaboli più coloriti non necessariamente lo integrano. Anzi, più volte la Cassazione ha escluso la diffamazione rispetto all’uso di parolacce poiché mancava l’intento di denigrare o sminuire la vittima. Non contano solo il contesto e la forma usata in base allo stesso, ma anche il senso che chi le scrive intende dare alle parole. Per questo, una sentenza della Cassazione ha ritenuto non essere un reato l’appellativo di “cog****e” dato con il significato di “sprovveduto”, mentre dire che qualcuno è un “cornuto” implicando che il coniuge lo tradisca più verosimilmente integra il reato.

Non conta, inoltre, l’eventuale veridicità del fatto, quanto piuttosto la lesione della reputazione della vittima e la valutazione soggettiva sprezzante sulla sua persona, morale o professionale. I criteri sono essenzialmente simili per quanto riguarda l’ingiuria, tenendo conto degli elementi che contraddistinguono questo illecito.

Minacce implicite

Non solo diffamazione, una parola sbagliata su Whatsapp può anche integrare il reato di minacce. È bene sottolineare che il problema non riguarda soltanto le minacce più esplicitamente aggressive, ma anche quelle più velate, con un uso sarcastico di termini comuni. “Ti auguro di passare buone feste” o “ci vediamo presto” sono frasi del tutto ordinarie, ma se vengono impiegate con l’intento di intimidire l’interlocutore prospettandogli un danno allora integrano il reato.

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