L’assurdo legame tra Covid, Governi e Finanza e la sua prossima deflagrazione

Mauro Bottarelli

17/01/2021

Notizie sparse, e poco diffuse, sull’emergenza pandemica aprono uno squarcio sulla verità che nessuno vuole vedere: attorno al virus si sono innestati pretestuosamente meccanismi utili solo a ritardare la fine dell’enorme equivoco dei mercati dipendenti da stimoli. Il tutto a un prezzo enorme che aumenta ogni giorno.

L’assurdo legame tra Covid, Governi e Finanza e la sua prossima deflagrazione

Premessa doverosa e fondamentale: questo articolo non è da catalogarsi come negazionista del Covid, né tantomeno come No vax. Il virus esiste ed è pericolosissimo e i vaccini sono una benedizione della scienza. Punto. Compito dell’informazione, però, è anche e soprattutto quello di vaccinare l’opinione pubblica da quel virus mortale che è l’ignoranza, intesa come condizione di non conoscenza. Spesso e volentieri, status non volontario ma imposto da quella che potremmo definire la censura educata delle priorità: alcune notizie vanno in prima pagina, altre a pagina 30. Altre ancora, finiscono direttamente nel cassetto. Purtroppo, a volte anche a prescindere dalla loro importanza.

Ecco quindi che l’eco mediatica suscitata dalla comunicazione del taglio delle dosi di vaccino Pfizer destinate all’Italia per un ammontare pari al 29% del totale rischia di tramutarsi nell’ennesimo bailamme legato a un mero tecnicismo, un ritardo nella catena di produzione/distribuzione. E non dar vita invece a una prospettiva di visione più ampia su quanto stia accadendo. Anche e soprattutto al di fuori del nostro Paese, parlando di Covid e delle mutazioni socio-economiche epocali che sta imponendo. Partiamo da una notizia che all’estero ha fatto scalpore, non fosse altro perché riportata da Bloomberg e non da un oscuro blog di dietrologi. La Norwegian Medicines Agency ha comunicato ufficialmente il decesso di 23 anziani subito dopo la somministrazione della prima dose di vaccino, i corpi di 13 dei quali sono stati sottoposti ad autopsia. E fornendo una risultanza pressoché univoca: i comuni effetti collaterali del vaccino - innocui a livello di conseguenze per la popolazione sana - potrebbero aver contribuito direttamente a una reazione molto severa su pazienti fragili e molto avanti con l’età. Ed ecco il comunicato dell’Istituto per la Salute pubblica norvegese al riguardo: «Per i pazienti che presentano le fragilità più severe, anche gli effetti collaterali più blandi del vaccino possono avere conseguenze molto serie. Inoltre, in persone con un’aspettativa di vita molto breve, i benefici del vaccino potrebbero essere marginali o irrilevanti». Un qualcosa di serio, visto che Pfizer-BionTech ha reso noto di aver avviato una collaborazione con il regolatore norvegese al fine di investigare sull’accaduto. Raggiunta da una richiesta di commento da parte di Bloomberg, l’azienda ha così risposto via mail: «Il numero di incidenti finora accaduto non è così allarmante e in linea con le aspettative». Tutto bene, insomma.

Non la pensano così a latitudini decisamente interessate dalla questione, poiché stando a quanto riportato da Global Times, esperti sanitari cinesi avrebbero letto quanto accaduto in Norvegia come il chiaro segnale della necessità di uno stop all’intera campagna vaccinale per determinate categorie. Fra questi Yang Zhanqiu, virologo della Wuhan University e un suo collega operante a Pechino e intervistato sotto anonimato, i quali ritengono che per determinati soggetti la nuova tecnologia alla base del vaccino non garantirebbe un grado di sicurezza sufficiente. Certo, l’atteggiamento poco trasparente (per usare un eufemismo) delle autorità cinesi nella genesi della pandemia farebbe propendere per un allarme irresponsabile e privo di fondamento, magari finalizzato al discredito di un vaccino rivale a quello della cinese SinoVac, resta però il fatto che a questo punto la Cina non avrebbe politicamente, né economicamente nulla da guadagnare da una campagna che gettasse ombre di sospetto sull’intera categoria dei sieri anti-Covid. Di più, proprio ora che la delegazione dell’Oms è finalmente giunta in Cina per investigare sulle cause della pandemia, dopo giorni di guerra diplomatica e procedurale.

Ma i casi di reazioni gravi sono in aumento anche negli Usa, visto che le autorità sanitarie statunitensi hanno confermato la notizia di 21 eventi fra il 14 e il 23 dicembre a fronte di 1,9 milioni di dosi iniziali somministrate: un’incidenza di 11.1 casi per milione di dosi, stando al Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Altrove se ne parla, stante anche la necessità di priorizzazione per categorie nella somministrazione, in Italia apparentemente solo accennare a numeri forniti da enti ufficiali e governativi si configura come reato di lesa maestà sanitaria. Viene da chiedersi, ad esempio: la contemporaneità fra caso norvegese e taglio delle dosi all’Italia, rientra in un contesto anche precauzionale e non unicamente logistico? Domanda legittima cui basterebbe una risposta chiara da parte dell’azienda. Certo, non porre del tutto il quesito, facilita molto il dibattito. Ed evita polemiche sgradevoli, poiché come mostra questa tabella

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Bank of America
presente nell’ultimo sondaggio fra gestori di fondi del 2020 condotto da Bank of America, i primi due tail risk di mercato temuti per l’anno appena iniziato riguardavano proprio efficaci del vaccino contro i mutamenti del virus e incidenza degli effetti collaterali. E la cosa non stupisce. Perché come rileva Fox Business, corredando l’articolo con dichiarazioni di conferma e spiegazione delle parti in causa, Microsoft, Oracle e Salesforce sono entrate nella fase operativa del progetto denominato Vaccination Credential Initiative (VCI), di fatto un passaporto digitale di vaccinazione che in un futuro nemmeno troppo lontano potrebbe diventare il lasciapassare obbligato per i cittadini al fine di tornare a compiere le più normali attività. In primis, viaggiare, visto che già sul finire del 2020 la Commons Project Foundation ha sviluppato la sua app sanitaria digitale e operato in partnership con United Airlines per una trial run sui voli fra Stati Uniti e Gran Bretagna. E trattandosi di un passaporto sanitario tout court, operante tramite wallet digitali o in via cartacea con codici QR, l’operazione coinvolge il trattamento di big data sensibili di centinaia di milioni di cittadini. Un business enorme. Degno della preoccupazione dei gestori di fondi.

Ma non basta. Perché stando a quanto riportato da KABC, il board dei supervisori della Contea di Los Angeles starebbe pensando a un lockdown più stringente che comporti anche una chiusura pressoché di massa degli esercizi commerciali, a fronte di un dilagare dei casi di contagio. Una decisione grave e seria, non fosse altro per il peso economico e sociale della California a livello federale. E, soprattutto, una decisione che, se presa, pare destinata a suscitare qualche perplessità, a fronte dei dati riportati in questi due grafici.

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Bloomberg/CDC

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Bank of America/CDC
Non solo, sempre stando a dati ufficiali del CDC, nella settimana appena conclusa il numero di ospedalizzazioni negli Usa è stato di 2.091 unità, sancendo il primo calo dallo scorso 23 settembre ma proprio la Contea di Los Angeles appare chiaramente in trend recessivo rispetto all’emergenza da contagi richiedenti ricovero ospedaliero. Perché, quindi, optare per una chiusura? Sempre più analisti, ovviamente ben guardandosi dal rendere eccessivamente pubbliche le loro opinioni, ritengono che la politica globale di lockdown - strettamente connessa agli stop-and-go sanitari legati ai vaccini e alle ospedalizzazioni - si stia dimostrando uno straordinario strumento di contenimento del fall-out economico, finanziario e politico. Non tanto e non solo della pandemia ma dall’accumulo di eccessi - debito e azzardo morale sul leverage in testa - che questa ha fatto emergere. E, potenzialmente, rischia di far deflagrare del tutto, come gli scossoni del marzo 2020 hanno dimostrato, obbligando le Banche centrali di tutto il mondo a un intervento senza precedenti, come mostra questo grafico:

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Deutsche Bank/Haver Analytics
in base a quanto messo in campo a livello di misure espansive solo a far data al terzo trimestre dello scorso anno, l’ammontare diretto e indiretto era già quasi doppio rispetto a quello sfoderato dopo la crisi Lehman-subprime. E da allora, le stamperie globali hanno continuato a far lavorare le rotative, promettendo impegno h24 anche per gran parte dell’anno appena iniziato.

Alla base del ragionamento, di fatto, c’è questo schema che circola da settimane negli uffici delle banche d’affari:

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Zerohedge
il cosiddetto Covid loop, un circolo vizioso di sfruttamento economico e massimizzazione controllata del danno derivante appunto dal continuo alternarsi di regimi di apertura e chiusura delle economie. Quando gli effetti di supporto messi in campo cominciano a scarseggiare, tendenzialmente si richiudono le società, al fine di minimizzare non solo la percezione di precarietà economica incombente (non esco, non spendo, se non per mangiare) ma anche i costi vivi dell’operatività, puntando tutto ciò che è possibile sullo smart working. A quel punto, riattivata l’emergenza, ecco che riparte anche la campagna di stimolo economico e il ricorso, giocoforza e benedetto anche dai regolatori in nome della lotta alla pandemia, a indebitamento e deficit. A quel punto e gradatamente, si riapre. Cercando di tamponare le falle più grandi, utilizzando gli asciugamani forniti per l’ennesima volta da governi e Banche centrali. Il problema è che un circolo vizioso simile non può durare per sempre, a meno che il Covid non divenga realtà permanente e variabile di convivenza forzata delle società. Ed ecco che questi tre grafici

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Bloomberg

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Bloomberg

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Nordea/Macrobond
mostrano il vero punto dirimente: i lockdown sono forse strumenti alternativi di ritardo con il redde rationem da indebitamento e reale fall-out sull’economia reale, basti pensare - nel caso dell’Italia - alla continua ed esiziale proroga del blocco dei licenziamenti? Se il dato del ricorso all’indebitamento pubblico e privato nell’eurozona solo nella prima metà del 2020 parla chiaro, ecco che il secondo e il terzo grafico mostrano il vero, attuale pericolo. La possibilità che l’inflazione da Covid, quella non tracciata dagli indici ufficiali, faccia saltare il banco delle politiche di stimolo delle Banche centrali, operando da detonatore dell’intera partita di giro.

Se infatti addirittura la Harvard Business School ha sentito la necessità di studiare il fenomeno della Covid-flation, ritenendolo un proxy dell’inaffidabilità delle tracciature ufficiali nelle dinamiche dei prezzi, ecco che il centro studi di Nordea mostra come - finalmente, verrebbe da dire - negli Stati Uniti il flusso di liquidità del Qe anti-pandemico stia raggiungendo i conti commerciali di famiglie e imprese, dopo aver stazionato per mesi fra bilanci bancari e sovra-valutazioni di Wall Street. Unendo però questa dinamica a quella dello stimolo da 2 trilioni appena annunciato da Joe Biden, il rischio è appunto quello di una fiammata inflattiva che cancelli di colpo un anno di sostegno monetario verso dinamiche debitorie - pubbliche e private - ormai in gran parte insostenibili. Chiudere le società a corrente alternata attraverso i lockdown, di fatto, ritarda l’approssimarsi del punto di non ritorno con quei trend da Qe perenne. Il problema è che - nel più plateale caso di disintossicazione di un drogato tramite somministrazione di eroina - il carico di leverage che ha creato il problema sta aumentando, in ossequio proprio alla presunta risoluzione della crisi. Altro loop, insomma. Forse affrontare certi argomenti laicamente e citando fonti attendibili potrebbe aiutare a trovare un rimedio, prima che sia davvero tardi. A colpi di scomuniche e mantra, invece, al limite si ottiene il risultato di mantenere in vita i governi. Mentre la gente muore, comunque.

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