Quali diritti hanno i gay in Italia (senza ddl Zan)?

Isabella Policarpio

04/05/2021

Come sono tutelati omosessuali e transessuali in Italia in caso di discriminazione e violenza? Serve il ddl Zan per ampliare i diritti esistenti? Ecco cosa prevede la legge in Italia.

Quali diritti hanno i gay in Italia (senza ddl Zan)?

Quali sono i diritti dei gay e della comunità Lgbt+ in Italia? Il ddl Zan serve davvero per salvaguardare gli omosessuali dalle discriminazioni?

Il dibattito sull’approvazione del testo di legge contro omofobia, transfobia e misogina si fa sempre più acceso, e c’è chi si domanda se un intervento normativo sia necessario oppure se possano bastare le tutele già in vigore.

Così abbiamo deciso di raccogliere e riportare, in ordine cronologico, le leggi, i diritti e i traguardi raggiunti dagli omosessuali in questi anni (dalla legge Cirinnà alla stepchild adoption), evidenziando, dall’altro lato, in cosa l’Italia è ancora carente.

I rapporti sessuali tra gay furono depenalizzati per la prima volta nel 1890 (dal Codice Zanardelli): da allora di strada ne è stata fatta, ma per la piena uguaglianza mancano alcuni step.

Ecco quali sono i diritti dei gay e dei transessuali nel nostro Paese, come sono tutelati e quali novità potrebbe apportare il ddl Zan.

Cambio sesso

In pochi sanno che l’Italia è il terzo Paese al mondo ad aver legalizzato il cambio di sesso per le persone transgender. Era il 1982 e la legge in questione è la n. 164 del 14 aprile. Prima di noi ci sono soltanto la Svezia, che ha legalizzato il cambio di sesso nel 1972, e la Germania, che ha compiuto questo passo nel 1980.

All’inizio, però, il cambio di sesso era considerato esclusivamente da un punto di vista strettamente medico, e per questo poteva essere autorizzato dal tribunale soltanto in presenza di due presupposti: qualora la persona transessuale avesse già eseguito un intervento chirurgico e se la rettificazione fosse necessaria ad adeguare i nuovi caratteri sessuali.

A partire dal 2011 (dopo il decreto legislativo n. 150) il cambio di sesso può essere autorizzato “ogni volta che risulta necessario”, con un notevole ampliamento dei casi ammessi rispetto al passato.

Un altro step venne raggiunto con la sentenza della Corte costituzionale n. 211/2015: qui, per la prima volta, è stabilito che l’intervento chirurgico non è una condizione necessaria e che i requisiti per autorizzare il cambio di sesso risiedono nella tutela del benessere psico-fisico del richiedente (tuttavia occorre un percorso di transizione documentato).

Unioni civili

Un passo importantissimo per i diritti gay è avvenuto grazie alla legge Cirinnà, approvata alla Camera nel maggio del 2016 con 372 sì e 51 no. Con questa legge vengono estesi alle coppie omosessuali la maggior parte dei diritti derivanti dal matrimonio: nascono le unioni civili per le coppie dello stesso sesso, da stipulare in Comune davanti al sindaco.

Dall’unione civile derivano diritti ed obblighi analoghi (ma non del tutto) a quelli matrimoniali, tra questi l’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale e di coabitazione. Tuttavia non è previsto il dovere di fedeltà (che, invece, può essere motivo di addebito per le coppie eterosessuali) né la possibilità di accedere alle prestazioni di maternità/paternità e agli assegni familiari.

In ogni caso, le coppie gay unite civilmente possono beneficiare delle detrazioni fiscali per i familiari a carico, di quelle per l’acquisto della prima casa, dell’assegno di mantenimento in seguito al divorzio e hanno diritto a percepire la pensione di reversibilità e il TFR del coniuge defunto.

Discriminazione gay nei luoghi di lavoro

In ambito lavorativo sono vietate le discriminazioni fondate sul sesso, ed è proprio la Costituzione (articolo 3, comma 1) a sancire il principio di eguaglianza formale - o di non discriminazione - secondo cui tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni riconducibili a condizioni personali e sociali.

Tuttavia manca una legge ad hoc contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale in ambito lavorativo (mentre vi è una corposa giurisprudenza sulle discriminazioni etnico-razziali e religiose).

In assenza di una norma nazionale, alcune Regioni si sono mosse in anticipo con provvedimenti a tutela dei gay ad efficacia limitata e circoscritta al territorio (caso emblematico l’Emilia Romagna).

Adozione da parte di coppie gay

Nel nostro Pese alle coppie dello stesso sesso è vietata sia l’adozione vera e propria che la cosiddetta “stepchild adoption” ovvero l’adozione del figlio del proprio partner (disciplinata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184).

La legge Cirinnà sulle unioni civili, nella sua versione originale, estendeva la stepchild adoption (adozione del cofiglio) alle coppie omosessuali, ma non ve n’è traccia nel testo definitivo. Tuttavia - in assenza di una legge specifica - è stata la Giurisprudenza a fare dei passi in avanti. In diverse occasioni i tribunali hanno dato l’ok all’adozione dei minori alle coppie gay come, ad esempio, la sentenza 12962/16 della Corte di cassazione.

Per quanto riguarda il riconoscimento dello status di genitori conseguente all’adozione omossessuale avvenuta all’estero, le sezioni Civili della Cassazione hanno recentemente affermato che:

“non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva.”

Così la sentenza n. 9006/2021.

L’omofobia è un’aggravante?

No, in Italia l’omofobia non è considerata un’aggravante al reato di lesione personale (articolo 582 del Codice penale). Quindi se una persona viene aggredita a causa del suo orientamento sessuale, il giudice non potrà applicare una sanzione più severa di quella base, diversamente da quanto accade per le fattispecie di reato mosse da discriminazioni razziali, etniche o religiose.

Nel lungo elenco di circostanze aggravanti presente all’articolo 61 del Codice penale manca qualsiasi riferimento all’omosessualità e all’appartenenza di genere, tuttavia, secondo alcuni, potrebbero comunque trovare applicazione le circostanze aggravanti dei “futili motivi” o della “crudeltà”.

Al contrario, costituiscono delle circostanze aggravanti, con conseguente inasprimento della pena, le condotte violente mosse da intenti razziali e discriminatori nei confronti di minoranze etniche, linguistiche e religiose.

Propaganda e istigazione a delinquere contro i gay: cosa dice la legge?

Nemmeno in questo caso la legge italiana fa riferimento a gay, lesbiche e transessuali, che, di fatto, si trovano privi di tutela. Infatti il reato previsto all’articolo 604 bis del Codice penale si riferisce esclusivamente alla propaganda e istigazione a delinquere “per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa”.

Ed è proprio qui che si inserisce il ddl Zan, il quale estende la portata normativa del reato in questione alle istigazioni fondate su “sesso, genere, orientamento sessuale, identità di ge­nere o disabilità”.

Tuttavia, a causa dell’ostruzionismo della Lega e delle pressioni della Cei, il testo della legge è bloccato in Parlamento da circa due anni: eppure per la sua approvazione definitiva mancherebbe soltanto l’ultima votazione in Senato, dato che il testo ha avuto l’ok della Camera lo scorso novembre.

Argomenti

# Legge

Iscriviti a Money.it