Cosa sta succedendo al Pnrr e quanti soldi rischia di perdere l’Italia

Giorgia Bonamoneta

28/05/2023

Il Pnrr subirà delle modifiche per evitare ulteriori ritardi e tagli degli investimenti. Ecco perché l’Italia è in ritardo e quanti soldi rischiamo di perdere per questo.

Cosa sta succedendo al Pnrr e quanti soldi rischia di perdere l’Italia

Il Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, fa parte del Recovery plan o Next Generation Eu ed è un piano europeo per la ripresa post pandemia, ma che grazie ai giusti investimenti rappresenta una svolta per la sanità, l’istruzione, l’ambiente e la digitalizzazione. L’Europa ha quindi scelto di investire in Italia e puntare sul Paese 190 miliardi di euro (su un totale di 750 miliardi di fondi stanziati per il progetto) al quale l’Italia ha aggiunto 30 miliardi per dare una svolta davvero decisiva.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un lavoro impegnativo e che punta a riformare i pilastri della società italiana dalla digitalizzazione, alla transizione ecologica, dalle infrastrutture alla ricerca e dalla salute all’inclusione. I finanziamenti però rischiano di bloccarsi di fronte a un ritmo italiano che non viaggia pari passo a quello stabilito dall’Europa. Il ritmo è stato rispettato fino alla fine del governo Draghi, tanto che l’Europa ha erogato la somma stabilita (pre-finanziamento, prima e seconda rata per un valore totale di 67 miliardi di euro).

I problemi sembrano essere iniziati con l’ingresso del governo Meloni. Ma è davvero così? Cosa sta succedendo e perché rischiamo di perdere la terza rata da 19 miliardi di euro?

Troppi soldi da spendere? Perché il Pnrr va a rilento

Il governo Draghi aveva dovuto ridimensionare le prime spese dei finanziamenti arrivati dall’Europa, da 40 miliardi a poco più di 30. A marzo la Corte dei Conti, in un rapporto di 900 pagine, ha però confermato che la somma spesa nel 2021 dal governo Draghi era stata in realtà pari a 23 miliardi di euro (12% della somma totale degli investimenti per il 2026).

Il problema principale è che l’Italia non era pronta e non lo è neanche oggi a spendere una cifra così grande. La Corte dei Conti nel suo rapporto mette nero su bianco che il Paese ha una burocrazia pesante, farraginosa e quindi lenta. Lentezza burocratica che si manifesta chiaramente all’interno dei Comuni che dovrebbero gestire gran parte dei fondi del Pnrr. Il problema è tipicamente italiano, qualcosa che ancora non riusciamo a scrollarci di dosso: bandi di concorso per esperti che dovrebbero gestire i piani per la spesa di grosse cifre, ma retribuiti poco e a tempo determinato. In altre parole non un invito a partecipare al bando. E dove sono stati trovati gli esperti è la lentezza nella distribuzione dei fondi ad avere la sua parte di colpa.

Lo riporta proprio il documento della Corte dei Conti che cita le modalità di reclutamento del personale descrivendolo come “non stabili e che hanno fatto emergere non poche difficoltà per le amministrazioni nel garantire la continuità operativa delle strutture”. Non stupisce quindi come il ministro Fitto, ministro del nuovo ministero del Pnrr, abbia confermato come era matematicamente impossibile portare a termine tutti gli obiettivi entro il 2026.

Nuove esigenze, vecchi Pnrr: gli obiettivi da riscrivere

L’amministrazione pubblica lenta non è certo l’unico problema. Il Pnrr era stato pensato per la ripresa post-pandemica e non teneva conto degli avvenimenti dell’ultimo anno e mezzo: la guerra in Ucraina, la crisi energetica e l’inflazione. Il piano prevedeva di essere breve ma intenso, certo però non teneva in considerazione la possibilità che una crisi energetica sconvolgesse l’Europa.

Gli obiettivi del Pnrr a loro volta erano pensati per affrontare i problemi presenti in Italia prima della guerra in Ucraina. Come se non bastasse l’Italia ha cambiato governo, una procedura che richiede tempi di assestamento prima di iniziare davvero a lavorare. È vero che Fratelli d’Italia e la coalizione di destra si erano presentati dicendosi “pronti” a governare, ma è anche vero che si sono ritrovati al governo in un momento complesso e gli slogan elettorali sono pur sempre soltanto slogan.

Non c’è tempo per il Pnrr: cosa rischia l’Italia?

Il tempo per realizzare il Pnrr non c’è e non c’è perché l’Italia non è pronta a ricevere simili cifre di denaro, non ci sono le idee, non ci sono progetti e non c’è una struttura amministrativa capace di far rispettare le rigide regole per la realizzazione dei progetti. Diversi economisti concordano nel ritenere il Pnrr un errore perché l’Italia non era pronta a farlo funzionare. La soluzione sarebbe quella di rinunciare a parte o alla totalità dei fondi ed evitare così di fare ulteriori danni. Al contrario altri economisti sono dell’idea che questi soldi, anche perché ormai accettati, andrebbero usati nella loro interezza. Il governo Meloni è di questa opinione, ma ci sono dei problemi di fondo nel mantenere la direzione e questo perché sono cambiate le necessità e le persone si aspettano che vengano risolti i nuovi problemi, non quelli presenti post pandemia.

Giorgia Meloni si era detta sicura, lo scorso marzo, sulla possibilità di ricevere la terza rata, ma già sappiamo che ci saranno ritardi per la quarta rata prima ancora che venga sbloccata la precedente. La Corte dei Conti quindi alcuni giorni ha messo in guardia sul concreto rischio di riduzione del contributo finanziario messo a disposizione dall’Ue. Infatti al momento l’Italia è tra i Paesi con il più alto rischio di ritardi tra i Paesi che hanno ricevuto i finanziamenti, al contrario per esempio di Spagna e Grecia che sono sulla buona strada. Per capire quanto rischiamo di perdere c’è un solo caso al quale fare riferimento ed è quello della Lituania. Con il mancato raggiungimento di alcuni obiettivi la Lituania si è vista tagliati 23 milioni di euro; l’importo è stato calcolato in base al finanziamento totale del piano e al numero degli obiettivi previsti. Su questo esempio l’Italia (191 miliardi di euro e 527 obiettivi) rischia di perdere 362 milioni di euro per ogni traguardo mancato.

Per evitare di arrivare a questo punto la Commissione Ue ha spinto i Paesi a modificare i piani prima di richiedere ulteriori fondi. Una soluzione che permetterebbe di eliminare tutti quei progetti che hanno accumulato ritardi o progetti che hanno più probabilità di accumularne in futuro. L’Italia sta quindi lavorando alla modifica del Pnrr. Cosa resterà del Pnrr originale sarà il governo Meloni a deciderlo.

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