Chi può impugnare un matrimonio e quando

Ilena D’Errico

8 Gennaio 2024 - 19:38

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Ecco quali sono i soggetti legittimati a impugnare un atto di matrimonio a seconda dei casi e quali sono le cause di invalidità delle nozze.

Chi può impugnare un matrimonio e quando

Anche il matrimonio, come molti atti con effetti giuridici, può essere impugnato. Questo vuol dire che i coniugi (ma non solo loro) possono agire in giudizio chiedendo che sia pronunciata la nullità delle nozze o il loro annullamento. Ovviamente, non tutti possono esercitare questo diritto, ma soltanto alcune persone delineate dalla legge caso per caso. Ecco chi può farlo e quando.

Cosa significa impugnare un matrimonio e cosa succede

Per impugnazione si intende una contestazione di un atto giuridico, perché si presume che necessiti di essere eliminato o modificato a causa di vizi (difetti legali). Nel caso specifico del matrimonio, l’impugnazione serve a contestarne la validità, perché le nozze sono state contratte contro la legge.

L’impugnazione dà luogo a un procedimento civile nel corso del quale vengono appurate le cause di invalidità e poi – in caso di accertamento – pronunciata una sentenza di annullamento (o di nullità). Il matrimonio cessa quindi di produrre i suoi effetti giuridici o viene accertato che non li ha mai prodotti, compresi gli obblighi e i doveri reciproci, salvo quanto determinato dal giudice.

Chi può impugnare il matrimonio

L’impugnazione del matrimonio è regolamentata dall’articolo 117 del Codice civile, che richiama le ipotesi di invalidità e delinea i soggetti legittimati all’azione. Non tutti possono presentare un ricorso per contestare un matrimonio, ma soltanto le persone che ne hanno diritto secondo la legge.

Ci sono alcune variazioni a seconda della causa di invalidità - e quindi della norma violata – ma in linea generale possono impugnare il matrimonio:

  • I coniugi;
  • gli ascendenti prossimi;
  • il pubblico ministero.

Inoltre, possono impugnare un matrimonio anche coloro che hanno “un interesse legittimo e attuale”, che è di natura prettamente sociale. Persone estranee agli effetti del matrimonio possono soltanto inoltrare una segnalazione al pubblico ministero, che presenterà l’opposizione dopo averne appurato la fondatezza.

Vediamo ora quando si può impugnare un matrimonio e quali cambiamenti ci sono sui soggetti legittimati all’azione legale.

Quando impugnare un matrimonio

Come anticipato, è l’articolo 117 del Codice civile a definire i casi di impugnazione del matrimonio. Si tratta di ipotesi in cui vengono violate le norme sulle condizioni necessarie per sposarsi e che rappresentano i motivi di invalidità delle nozze.

Libertà di stato

L’articolo 86 del Codice civile vieta il matrimonio a chi è già sposato, chiedendo appunto la libertà di stato (mentre non rilevano i matrimoni solo religiosi). Dunque, se uno dei coniugi non ha divorziato o se la vedova non ha atteso almeno 300 giorni (o chiesto autorizzazione al giudice), il nuovo matrimonio può essere impugnato in ogni momento da tutti i soggetti legittimati.

Parentela, affinità, adozione

Il matrimonio non può essere celebrato tra persone con determinati vincoli di parentela, affinità o adozione, così come sancito dall’articolo 87 del Codice civile. Le nozze contratte nonostante i divieti possono essere impugnate da chiunque (anche da soggetti senza alcun interesse) senza limiti di tempo, a meno che i coniugi siano:

  • Zio e nipote o zia e nipote;
  • affini in linea collaterale di secondo grado;
  • affini in linea retta quando l’affinità deriva da matrimonio nullo.

In questi casi, infatti, può essere richiesta la preventiva autorizzazione al giudice. In mancanza di quest’ultima, le nozze possono essere contestate soltanto dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e dalle persone con interesse legittimo e attuale, entro 1 anno.

Delitto contro l’altro coniuge

L’articolo 88 del Codice civile vieta il matrimonio se uno dei due è stato condannato per omicidio o tentato omicidio sul coniuge dell’altro. In questi casi il matrimonio è invalido, anche se uno dei due è ormai vedovo.

Minorenni

Il matrimonio può essere impugnato se uno o entrambi i coniugi sono minorenni, a meno che abbiano più di 16 anni e ottenuto l’emancipazione dal giudice. L’impugnazione può essere promossa in questo caso anche dai genitori del minore, ma deve essere respinta se il coniuge manifesta la volontà di restare sposato se nel frattempo:

  • È diventato maggiorenne;
  • c’è stato concepimento;
  • c’è stata procreazione.

Il coniuge può agire personalmente per contestare il matrimonio, ma non oltre 1 anno dal compimento dei 18 anni.

Assenza e morte presunta

Una persona può risposarsi se il suo coniuge è dichiarato assente, una condizione accertata dal giudice se la sua scomparsa si è protratta per almeno 2 anni. Il matrimonio non può essere impugnato finché dura l’assenza, ma può essere contestato dal coniuge di ritorno.

Di pari passo, il nuovo matrimonio è dichiarato nullo se il coniuge di cui era stata accertata la morte presunta fa ritorno o ne viene accertata l’esistenza. Al contrario, la nullità non può essere pronunciata se la morte viene appurata (indipendentemente dalla posteriorità rispetto alle nozze).

Persone dello stesso sesso

Può essere impugnato anche il matrimonio contratto da persone dello stesso sesso, che devono invece ricorrere all’unione civile. Se il cambio di sesso è rettificato dopo il matrimonio il passaggio è automatico, salvo diversa volontà.

Interdizione

Se uno dei coniugi era già stato interdetto al tempo delle nozze oppure viene interdetto successivamente ma si appura che la condizione era preesistente il matrimonio può essere impugnato dal tutore o dagli altri soggetti legittimati. Se l’interdizione viene revocata, anche il diretto interessato può proporre il giudizio, ma non se c’è stata coabitazione per almeno 1 anno (dopo la revoca).

Incapacità di intendere e di volere

L’incapacità di intendere e di volere dà luogo all’invalidità del matrimonio e possibilità di impugnazione, a prescindere delle cause (fosse anche lo stato di ubriachezza che ha leso la capacità di consenso). Anche in questo caso, l’azione non è esperibile se i coniugi hanno coabitato per 1 anno o più da quando è stata recuperata la piena capacità.

Violenza e timore

Se il consenso di uno dei due coniugi è stato estorto con la violenza o un grave timore il matrimonio può essere impugnato, ma entro 1 anno da quando cessa la violenza o la causa del timore.

Errore

I matrimoni in cui il consenso dei coniugi si è basato su errori sull’identità personale o sulle qualità dell’altro possono essere impugnati, purché si accerti che in assenza di questo il consenso non ci sarebbe stato, nei seguenti casi:

  • Malattia fisica o psichica, anomalia o deviazione sessuali tali da impedire la vita coniugale;
  • condanna per delitto non colposo con reclusione di almeno 5 anni divenuta irrevocabile, salvo che il coniuge si sia riabilitato prima del matrimonio;
  • dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;
  • condanna per delitti riguardanti la prostituzione con pena non inferiore a 2 anni;
  • stato di gravidanza (causato da persona diversa) in caso di disconoscimento e gravidanza portata a termine, a meno che in seguito alla scoperta vi sia coabitazione di almeno 1 anno.

La simulazione

Il matrimonio simulato è quello in cui i coniugi si sposano ma sono concordi nel non adempiere agli obblighi e non credono nel vincolo, perché hanno altro interesse dalle nozze (l’esempio più classico è quello della cittadinanza a uno straniero). L’impugnazione può avvenire soltanto se non è passato 1 anno in cui i coniugi si sono comportati fra loro come tali o abbiano convissuto come tali.

Il matrimonio putativo

Nel matrimonio putativo almeno uno dei coniugi è in buona fede, cioè non conosce le cause di invalidità dell’atto o si è sposato per violenza o timore derivanti da cause esterne. In questo caso, gli effetti si producono fino alla sentenza di nullità in favore del coniuge in buona fede.

Se entrambi erano in buona fede, il giudice può disporre una sorta di assegno di mantenimento in favore del soggetto più bisognoso per un massimo di 3 anni.

Il coniuge in malafede, invece, deve comunque corrispondere all’altro un’indennità per il danno arrecato (anche in mancanza di prova) corrispondente al mantenimento per 3 anni ed eventualmente anche gli alimenti. Il coniuge che conosceva l’invalidità del matrimonio e non ha informato l’altro è poi tenuto al pagamento di una sanzione amministrativa compresa tra 51 e 306 euro.

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