Referendum, perché Renzi ha perso: identikit dell’Italia che ha punito il premier

Antonio Atte

05/12/2016

Perché Matteo Renzi ha perso la sfida del referendum costituzionale. Un’analisi delle motivazioni che hanno spinto gli italiani a bocciare la sua riforma.

Referendum, perché Renzi ha perso: identikit dell’Italia che ha punito il premier

John Keats diceva che la vittoria ha moltissimi padri, mentre la sconfitta è orfana. La Caporetto del fronte del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre, invece, un padre ce l’ha e si chiama Matteo Renzi.

Nel commentare l’impietoso esito della consultazione (No batte Sì 59 a 41), Renzi si è assunto tutta la responsabilità della debacle.

E non avrebbe potuto fare altrimenti, visto che sin dal principio il voto sul ddl Boschi è stato plasmato dal lui e percepito dall’elettorato come un test sul suo governo, sulla sua persona e - altro fattore da non sottovalutare - sul suo operato come segretario del Partito democratico.

“Se perdo il referendum sulla riforma costituzionale smetto di far politica. Non è un plebiscito su di me, ma finalmente c’è la responsabilità di chi fa politica dopo che per anni c’è stato il pantano”.

Quasi un anno è passato da quando il premier - che oggi è salito al Quirinale per rimettere il proprio mandato nelle mani di Sergio Mattarella - pronunciò queste parole. E proprio qui, nella sua ubris, risiede il primo peccato originale del giocatore d’azzardo Renzi.

Referendum: la personalizzazione della sfida

Il presidente del Consiglio ha indissolubilmente legato il voto sulla riforma alla prosecuzione del suo governo e della sua carriera politica, salvo poi optare per una tardiva spersonalizzazione della sfida referendaria nelle ultime fasi della campagna elettorale, quando ormai i buoi erano scappati dalla stalla.

Il voto sul ddl Boschi è stato un voto sulla sua persona. E il primo responsabile di questo pasticcio è proprio Matteo Renzi, il cui udito non è riuscito a captare - volendo ricorrere a una metafora mourinhana - il “rumore dei nemici”.

Nemici cresciuti esponenzialmente nell’ultimo anno e mezzo (insegnanti, operai, sindacati, burocrati, risparmiatori, grandi e piccole corporazioni, sinistra Pd) e che oggi affollano la riva del fiume per veder passare il cadavere del premier, dopo aver consumato nelle urne la più attesa delle vendette.

Referendum: un No anche nel merito della riforma

Il No alla riforma è stato però anche un voto nel merito del disegno di legge.

Stando a un sondaggio di YouTrend per SkyTg24, gli elettori hanno votato in maggioranza sui contenuti della riforma, e non pensando di dare un giudizio sull’esecutivo; tuttavia, “la percentuale di chi ha votato sui contenuti è molto più alta tra chi ha votato Sì (71%) rispetto a chi ha votato No (54%)”.

Referendum: la rivolta del ceto medio impoverito

Sempre YouTrend riporta che nei 100 comuni italiani col più alto numero di disoccupati ha vinto il No con il 65,8%, mentre nei 100 col tasso di disoccupazione più basso ha vinto il Sì con il 59%. Il che rende evidente un altro fattore.

La rivolta contro Renzi ha visto in prima fila le famiglie dell’ex ceto medio urbano impoverite dalla crisi, schiacciate dalla globalizzazione e spaventate dal fenomeno migratorio.

Con la necessaria cautela e le dovute proporzioni, è possibile associare questo malcontento alla stessa rabbia sociale che ha prodotto la Brexit nel Regno Unito e consegnato le chiavi della Casa Bianca a Donald Trump negli USA. Una rabbia che sarebbe sbagliato e fin troppo facile etichettare solamente come becero populismo.

Matteo Renzi è stato punito da un’Italia che non ha avvertito gli esigui progressi compiuti sul fronte economico e che non si riconosce nella narrazione ottimistica del premier. E’ l’italia dei dimenticati, il popolo dei “forgotten men and women” che negli USA ha spinto Trump verso la presidenza contro ogni pronostico.

E’ l’Italia dei giovani precari, che al giovane inventore del Jobs Act continuano a preferire il Movimento 5 Stelle, indicato da tutti i sondaggi come il principale depositario delle loro istanze.

Referendum: l’appello di Renzi ai giornalisti

Renzi ha perso nonostante la sua riforma fosse portatrice di un oggettivo e radicale cambiamento rispetto allo status quo. Ma fare propaganda anti-sistema (contro la Ue, la burocrazia, la Casta dei politici del passato, ecc.) si è rivelata un’operazione azzardata che alla fine non ha pagato affatto.

“Fare politica andando contro qualcuno è molto facile, fare politica per qualcosa è più difficile ma più bello”, ha detto Renzi in uno dei passaggi più significativi del suo discorso di ieri.

La parte finale del suo commiato è dedicata ai giornalisti:

“Vi chiedo nell’era della post-verità, nell’era in cui in tanti nascondono quella che è la realtà dei fatti, di essere fedeli e degni interpreti della missione importante che voi avete e per la vostra laica vocazione”.

Il suo è un appello accorato, rivolto a una categoria che in realtà non ha mai amato. Nell’era della post-verità, della viralità che assurge a dogma inscalfibile (rileggere Casaleggio senior), delle matite che non sono indelebili, del Bilderberg, del complottismo in servizio permanente effettivo, il grande disintermediatore cerca un disperato appiglio.

Magari lo troverà, tra gli sberleffi di un Paese da sempre feroce con chi cade in disgrazia. Prima, però, c’è l’esilio.

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