Italia: le conseguenze delle politiche UE e l’aumento del dualismo Nord-Sud

Erasmo Venosi

17/10/2015

Effetti e conseguenze in Italia delle politiche dell’Unione Europea causati dal valore dei moltiplicatori fiscali. Aumenta il dualismo tra Nord e Sud.

Italia: le conseguenze delle politiche UE e l’aumento del dualismo Nord-Sud

La scorsa settimana ho partecipato a un convegno sull’accentuarsi della crisi nel Mezzogiorno come radicalizzazione degli effetti prodotti dalle politiche di Bruxelles.
Al convegno partecipava un autorevole economista.

La tesi di fondo dello studioso spiega come gli effetti della crisi siano imputabili all’altissimo debito pubblico, frutto del mancato adeguamento del gettito alla spesa pubblica e ad un Sud con burocrazia e classe politica inadeguata.

Ritengo le argomentazioni sulla cause della crisi, e di come impatta nel contesto meridionale, da integrare.
Nei dibattiti si omette di considerare l’errore fondamentale e riconosciuti dagli organismi tecnici comunitari nel determinare il valore dei moltiplicatori fiscali.

E’ rilevante il danno causato nella applicazione delle politiche di taglio della spesa pubblica o di incremento delle entrate. La vita di milioni di cittadini, le loro prospettive future, i loro sogni sono dipesi da un modello econometrico che utilizzava, per gli aggiustamenti dei bilanci statali, un moltiplicatore fiscale che si è dimostrato errato.
Falso che a ogni punto percentuale di riduzione del deficit corrispondeva mezzo punto di minore crescita della ricchezza prodotta.

Secondo il FMI, il moltiplicatore varia tra 0,9 e 1,7, quindi l’effetto depressivo è stato molto superiore, a quanto ritenuto. Tutto questo ha cancellato milioni di posti di lavoro! Incredibile, che la BCE arrivi alle stesse conclusioni in una ricerca “Gauging the effects of fiscal stimulus packages in the euro area" dove si dimostra che meno tasse e più spesa pubblica fanno aumentare il PIL e dove il migliore risultato è ottenuto attraverso la spesa pubblica per consumi di beni e servizi, poi attraverso gli investimenti pubblici.

Dalla ricerca inoltre si apprende che minori tasse fanno crescere il PIL, ma in misura molto minore rispetto alla spesa pubblica. Relativamente al debito nel 1981, data dei divorzio Tesoro/Banca d’Italia le entrate erano pari al 33,6% del PIL, mentre la Germania era al 43,6% e, la Francia al 46,1, ma altre due cause hanno operato: il richiamato divorzio Tesoro/Banca d’Italia e il saldo negativo della bilancia commerciale.

Entrambe hanno determinano un aumento dei tassi per fare assorbire dal mercato le obbligazioni pubbliche in eccesso che prima sottoscriveva la Banca d’Italia e per l’afflusso di capitali che compensavano il deficit commerciale.
Il tutto realizzato con alti tassi di interesse che hanno fatto aumentare il debito.

Agli inizi degli anni ’80 gli interessi sul debito sono l’8% del Pil e il 12,6% nel 1993, mentre il rapporto debito/PIL passa dal 57,7% del 1980 al 124,3% del 1994.
Sulla montagna del debito, sulla bassa crescita economica, sul dualismo Nord/Sud impatta la crisi.

Le politiche di aggiustamento imposte dagli organismi comunitari incidono sui consumi e sulla domanda pubblica. Dal 2007 a oggi il Centro Nord ha perso 8 punti di PIL, il Sud 13.
Il modello prescelto dalla UE per rilanciare la crescita è quello delle esportazioni agevolate dalla svalutazione dell’euro, conseguente alla liquidità immessa dalla Bce.
L’Euro (EUR) in sei anni si è svalutato del 36% rispetto al dollaro.

Il dramma è che sfugge la entità della crisi del Sud, che con questa impostazione politica non potrà mai uscire dalla crisi, come è altrettanto vero che il modello export led dei beni tradizionali prodotti non potrà mai ricreare i livelli occupazionali pre crisi.

Sono 5 le regioni esportatrici con livello di export rilevanti e si trovano tutte nel Nord e tre regioni Toscana, Marche e Abruzzo hanno tassi di esportazioni superiore alla media.

Il Sud esporta intorno al 10% del Pil.
A tutto questo e sempre, a causa dei vincoli UE, si raggiunge il paradosso che l’Italia accumula risparmio ma non può spenderlo.
Il saldo di parte corrente dell’Italia è pari a 43 mld di euro. Il 75% del PIL italiano dipende dalla domanda di consumi e in questa crisi solo le 211 mila imprese esportatrici hanno potuto resistere.

Il Sud ha una struttura formata da moltissime microimprese con modello di specializzazione fondato sull’uso di tecnologie tradizionali, bassa dotazione di infrastrutture, inesistenza di un sistema bancario locale e quindi poco competitive sui mercati internazionali.

In estrema sintesi la domanda estera è intercettata soprattutto dalle imprese del centro Nord. La ricetta UE ha generato effetti sociali terribili nel Sud soprattutto sui giovani.

Il dramma è duplice, perché l’Italia senza il Sud che riparte non tornerà ai tassi di crescita passati e il dramma sociale della disoccupazione non potrà che aumentare perseverando nelle politiche imposte da Bruxelles.

Al seminario di 4 anni fa di Banca d’Italia sul tema “Il grado di integrazione economica fra Mezzogiorno e Centro Nord : evidenze empiriche da un modello VAR multi - regionale" il legame di connessione tra le due economie fu stimato pari a 0,4.

Questo significa che 100 euro di consumi di prodotti al Sud si tramutano, in una domanda aggiuntiva alle imprese del centro-nord di 40 euro.

La percentuale delle esportazioni è pari a circa un quarto del PIL e come è possibile affidare a esse l’obiettivo di traino della economia italiana?

In tale prospettiva è assodata la deriva irreversibile del Sud, che rischia di diventare pericolosa in termini sociali, finanziari, economici, istituzionali e consolidare la bassa crescita italiana dell’ultimo ventennio.

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