Italia: è allarme per la povertà lavorativa. Chi sono i poveri con un impiego?

Violetta Silvestri

19/01/2022

Lavorare e vivere da povero: questo fenomeno colpisce anche l’Italia e spinge a ripensare salari, ammortizzatori sociali e sistema economico. Perché la povertà lavorativa è un problema da affrontare.

Italia: è allarme per la povertà lavorativa. Chi sono i poveri con un impiego?

In Italia tra i poveri ci sono anche le persone che hanno un impiego.

Il fenomeno è quello della povertà lavorativa, che il ministro Orlando ha voluto approfondire con un gruppo di lavoro ad hoc.

Il rapporto che ne è emerso, presentato il 18 gennaio, ha messo in evidenza che “più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà.”

Come è possibile? Un mix di retribuzioni basse, contratti precari, familiari a carico e politiche di sostegno e fiscali inefficaci hanno contribuito a creare questi gruppi di occupati che pure vivono in indigenza o difficoltà economica.

I dettagli e i numeri del rapporto: cos’è e come sfidare la povertà lavorativa.

Povertà lavorativa in Italia: i dati di un allarme sociale

La Relazione del Gruppo di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia è stata presentata il 18 gennaio dal ministro del lavoro Andrea Orlando e dall’economista Ocse Andrea Garnero.

Lo scopo è stato di illustrare la portata di un fenomeno importante e cominciare a trovare concrete soluzioni. I dati emersi dallo studio hanno offerta una chiara - e poco incoraggiante - fotografia delle condizioni di alcuni occupati italiani:

  • un quarto dei lavoratori italiani ha una retribuzione individuale inferiore al 60% della media;
  • più di un lavoratore su dieci si trova in povertà, vivendo in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana;
  • l’11,8% dei lavoratori italiani è in condizioni di povertà nel 2019 (9,2% è la media UE)

Salari stagnanti, scarsa intensità lavorativa, formule di part-time involontario, rapporti discontinui nell’occupazione, presenza di un solo lavoratore nel nucleo familiare sono tra i maggiori motivi di crescita della povertà lavorativa.

Non solo, il report ha sottolineato che l’instabilità molto dipende anche “dalla debolezza della struttura economica italiana (e quindi la crescita di “lavoretti” a basso valore aggiunto) ma anche da cambiamenti strutturali, come un aumento del peso dei servizi. Più che nella manifattura, infatti, nei servizi i lavori possono essere spezzettati in brevi fasce orarie, in alcuni casi assegnando alcune attività a società esterne per il minimo di ore possibili.”

La sintesi del fenomeno può essere riassunta in una frase, che apre il sunto del rapporto ministeriale: “Avere un lavoro non basta per evitare di cadere in povertà.”

L’aspetto da non trascurare è che questi dati si riferiscono al periodo pre-pandemico. Con la diffusione del Covid le condizioni sono peggiorate. Lo ha evidenziato l’Oxfam in un nuovo studio sulla disuguaglianza. Mettendo a fuoco l’Italia, l’ente ha allertato che “la ripresa occupazionale del 2021 non è trainata da lavoro stabile e rischia di riproiettarci nel mondo pre-pandemico, che ha visto crescere la quota dei working poor di oltre 6 punti percentuali dall’inizio degli anni ‘90.”

Sotto la lente, per Oxfam, ci sono diversi fattori avversi a un lavoro dignitoso che vanno presi in considerazione, così elencati: l’espansione di lungo corso di occupazioni in settori a bassa produttività e con salari insufficienti, la prevalenza nel tessuto produttivo di piccole e micro imprese con propensione all’innovazione mediamente molto debole e sottoutilizzo del capitale umano, le strategie competitive delle imprese italiane basate sulla compressione del costo del lavoro, la deregulation contrattuale, la diffusione del part-time in prevalenza involontario.

Le proposte di Orlando contro la povertà lavorativa

L’impegno del ministro e del Governo è di agire per limitare questo fenomeno.

Nel rapporto sono stati indicati diversi strumenti da poter attuare per agevolare la sicurezza economica e sociale di chi ha un impiego.

Tra questi, spiccano: garanzia di minimi salariali adeguati; rafforzamento della vigilanza documentale; introduzione di un in-work benefit, ovvero di una integrazione del reddito per lavoratori poveri; incitamento alle aziende a rispettare le norme; promozione di una revisione dell’indicatore UE di povertà lavorativa.

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