Digital tax, cosa può succedere all’export italiano negli USA con un aumento dei dazi del 25%

Violetta Silvestri

11/06/2021

La digital tax nazionale potrebbe costare cara all’export italiano negli USA: la potenza americana minaccia dazi al 25%. Cosa significa? Un’analisi.

 Digital tax, cosa può succedere all’export italiano negli USA con un aumento dei dazi del 25%

La digital tax italiana non piace agli USA, che hanno già minacciato ritorsioni: aumento dei dazi del 25% sull’export italiano. Cosa succederebbe se entrassero in vigore?

In un momento caldo sul tema, con il G7 che ha condiviso una tassa minima globale di almeno il 15% - tutta definire - l’imposta italiana pari al 3% dei ricavi derivanti da determinati servizi digitali ha già prodotto i suoi effetti.

Quello, per esempio, di irritare Washington, che ha subito risposto annunciando dazi per l’importazione di prodotti italiani (e di altri Paesi) dagli USA. Al momento sospese per 6 mesi, queste tariffe aggiuntive restano uno scenario possibile, ma non probabile.

Quello che è certo, è che la digital tax potrebbe avere un impatto significativo sulle esportazioni italiane negli Stati Uniti. Il motto “Buy American”, sembra ormai non conoscere colore politico e da Trump a Biden sta dettando la politica commerciale della potenza americana.

Proprio come ha sottolineato Lucia Iannuzzi, intervistata da Money.it. Esperta in materia doganale e internazionalizzazione, la founder e managing partner delle società di consulenza C-TRADE e OVERY e membro attivo della Commissione Dogane& Trade Facilitation di ICC, ci ha offerto una interessante analisi.

Quali effetti sull’export italiano in USA dall’aumento dei dazi al 25%?

Dalla digital tax ai dazi sull’export italiano in USA: cosa aspettarsi?

La notizia è arrivata il 2 giugno, quando gli Stati Uniti hanno annunciato tariffe aggiuntive 25% su oltre 2 miliardi di dollari di importazioni da sei Paesi che attuano tasse sui servizi digitali.

La potenza americana ha poi immediatamente sospeso i dazi per 180 giorni, per consentire il proseguimento delle trattative fiscali internazionali.

L’ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti (USTR) ha dichiarato di aver approvato tali tariffe sulle merci provenienti da Gran Bretagna, Italia, Spagna, Turchia, India e Austria dopo che un’indagine della “Sezione 301” ha concluso che le loro imposte digitali discriminavano le società statunitensi.

In termini numerici, si tratterebbe di 386 milioni di dollari di merci dall’Italia gravate da imposte aggiuntive.

Come valutare questa mossa dell’incremento dei dazi? Sicuramente è “un aggravio delle misure protezionistiche, una tutela del mercato interno” come ci ha spiegato Iannuzzi:

“Gli Stati Uniti hanno pensato di tassare ben 6 Paesi cercando di andare ad attingere al loro core business, per penalizzare un traffico in questo momento storico dove gestire lo sviluppo economico con protezioni di tale tipo è deleterio...Gli USA dicono: ho fatto un’indagine, ho verificato con un’audizione alle mie aziende che la digital tax è disciriminatoria e danneggia il mercato americano, di conseguenza tutelo i miei settori e appongo questo maggior dazio del +25%.”

Quali settori sarebbero quindi colpiti? Quelli più forti in ogni Paese e di maggior acquisto negli USA. In Italia, ha sottolineato Lucia Iannuzzi, la misura grava sul caviale, su tutto il Made in Italy, come borse, fashion, accessori, sulle lenti, come quelle Luxottica, ovvero il core business della nostra produzione.

In Austria, per esempio, gli USA tasserebbero di più le ceramiche e gli oggetti di vetro; in India i crostacei, il riso, il legno, il sughero, le perle; in Turchia i tappeti.

La misura difficilmente andrà avanti, visto anche l’accordo sulla tassa minima in ambito G7. Tuttavia lo scenario per l’export italiano negli USA potrebbe oscurarsi.

“Il mercato USA è molto importante, è un bacino interessante per l’Italia e il Made in Italy attrae molto Stati Uniti. Affermare il prodotto italiano all’interno del territorio americano è la base per vendere ovunque; è uno sfogo anche per il tessuto medio-piccolo”, ha ricordato Iannuzzi.

In questa cornice, quindi, il peso di un ulteriore 25% di dazi sulle imprese italiane sarebbe dannoso. Anche perché il sistema americano è particolare e ce lo ha chiarito proprio l’esperta,sottolineando che gli USA tassano anche per specifico prodotto e per specifica azienda:

“Un caso che ho seguito ha riguardato una società italiana che vende pasta negli USA che aveva una tassazione del 98% perché non rispettava un piccolissimo parametro negli ingredienti della pasta... Se una società, quindi, ha già una misura che pesa sull’export, l’aggiunta del 25% non può che gravare ancora di più.”

Quali altri ostacoli per l’export dell’Italia?

Non solo Stati Uniti: l’analisi sulle potenzialità dell’export italiano permette di guardare oltre la politica protezionistica di Washington.

Quali ostacoli si oppongono alla crescita delle esportazioni delle aziende nazionali? Sono diverse le considerazioni di Lucia Iannuzzi su questo tema e chiamano in causa anche l’Europa:

“Noi siamo votati al Made in Italy e all’esportazione e il territorio italiano è volto alla produzione. Ma se io come Stato e come UE non attuo una politica che gestisca la produzione interna delle piccole e medie imprese, il rischio di non farcela c’è sempre.”

Il discorso sullo sviluppo dell’export nazionale è denso di spunti, come ha chiarito l’esperta in dogane e internazionalizzazione. Un primo aspetto, per esempio, è che l’Italia, carente in infrastrutture e con costi elevati di manodopera e trasporti, resta indietro ed è costretta ad acquistare materie prime altrove e a delocalizzare molto spesso, perché più conveniente.

Bisognerebbe incentivare la produzione nazionale a tutti gli effetti e su questo punto il Pnrr, ha ricordato Iannuzzi, potrebbe essere importante visto che si parla di “gestire la logistica, la supply chain anche a livello nazionale, per incentivare una produzione interna”.

E poi c’è l’UE, che sta attuando “serratissime politiche commerciali”. In un momento in cui si deve ripartire, ha rimarcato Iannuzzi, se l’Europa adotta una serie di dazi antidumping è un danno, anche per le imprese italiane che importano materie prime o semilavorati non facilmente reperibili in Europa.

Se l’UE, come sta facendo, tassa l’alluminio dalla Cina e da altri Paesi con un +48% per favorire una produzione interna che però non è al passo con la domanda, è un problema serio.

Gestire una ripresa economica con politiche protezionistiche è controproducente, questo il punto cruciale per Iannuzzi: o decidiamo di produrre internamente, con una politica adeguata, o favoriamo la globalizzazione, per facilitare l’apertura al mercato estero e garantire margini di profitto alle imprese - in primis italiane - che esportano.

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