Controlli Agenzia delle Entrate su Facebook e Instagram: chi rischia nel 2020

Fiammetta Rubini

28/01/2020

Nuovi controlli del Fisco sui profili e post Facebook, Instagram e Twitter. Ecco cosa vede l’Agenzia delle Entrate e chi rischia gli accertamenti sui social.

Controlli Agenzia delle Entrate su Facebook e Instagram: chi rischia nel 2020

Il Fisco controlla anche i profili Facebook, Instagram e i post pubblicati sui social network. Ma non è finita qui, perché può incastrare gli evasori anche da Google, stando a una recente sentenza della Cassazione.

La caccia ai furbetti non si limita più ai soli conti correnti e movimenti bancari, ma colpisce gli utenti delle piattaforme social, così da stanare gli evasori anche online. Succede in Francia, dove il Consiglio Costituzionale ha dato l’ok alla norma 154 inserita nella Legge di Bilancio 2020 per permettere all’Agenzia delle Entrate di usare algoritmi e big data per scansionare i social media alla ricerca di imbrogli fiscali.

Ad annunciare il via dei nuovi controlli del Fisco sui social network è stato, a fine dicembre, il ministro dei Conti pubblici Gèrald Darmanin su Twitter.

In base alle nuove regole i funzionari doganali e fiscali saranno autorizzati a spiare profili, post e foto degli utenti e usarli come prove per redditi non dichiarati. I nuovi accertamenti del Fisco sui profili social dei contribuenti hanno avuto grande risonanza in Francia. La novità non riguarda l’Italia, ma da noi è già in vigore qualcosa di simile dal 2016.

Controlli Agenzia delle Entrate sui social: chi rischia

Il ministro ha definito le nuove regole uno strumento in più per combattere l’evasione fiscale. “Se dici che non sei residente fiscale in Francia ma continui a pubblicare foto su Instagram dalla Francia, potrebbe esserci un problema”, ha spiegato al quotidiano francese Le Figaro.

Ma le nuove regole hanno destato preoccupazioni nei gruppi a difesa dei diritti e dei consumatori, e anche l’autorità francese per la protezione dei dati non ha accolto con favore la notizia.

Il tribunale ha riconosciuto che la privacy e la libertà di espressione degli utenti sui social potevano essere compromesse, e ha affermato che le autorità dovrebbero garantire che il contenuto protetto da password resti inviolato e che vengano utilizzate solo le informazioni pubbliche divulgate dagli utenti sui loro profili.

Controlli Fisco sui profili e post social: e in Italia?

Come indicato nella circolare n.16/E del 28 aprile 2016, in Italia l’Agenzia delle Entrate, per contrastare l’evasione fiscale, può attingere a dati provenienti da banche dati ma anche ad altre fonti, comprese quelle aperte. Con queste si intendono articoli di giornale, siti internet, social network, al fine di acquisire informazioni utili sui contribuenti ed eventuali incongruenze tra la vita nota al fisco e quella mostrata su Facebook o Instagram.

In Italia è prassi, per l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, usare i social network per scoprire casi di evasione fiscale ma anche come prove in cause di divorzio (quando il coniuge si rifiuta di pagare il mantenimento perché dichiara difficoltà finanziarie che non corrispondono al tenore di vita esibito sui social, ad esempio).

Attualmente la differenza con la Francia è che Oltralpe la scansione dei social network per stanare i furbetti con algoritmi e big data avviene in automatico come spunto investigativo, mentre in Italia si ricorre ai social come strumento di supporto a indagini già avviate.

Controlli del Fisco: anche Google Maps è una prova

Anche le foto di Google Maps, visibili in modalità street view, costituiscono una prova valida per stanare gli evasori fiscali.

Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza numero 308 del 10 gennaio 2020. La sentenza riguarda il caso di una società che ha ricevuto l’avviso di accertamento dal Comune per il recupero dell’imposta di pubblicità non versata per 4 anni.

La società contestava l’utilizzabilità delle foto prese da Google Street View che mostravano il veicolo del contribuente con installato il cartellone pubblicitario, poiché - sosteneva - non assicurano la certezza della data del rilevamento.

I giudici della Cassazione però hanno respinto il ricorso e condannato la società al pagamento delle spese dovute, in quanto le immagini fornite da Google sono risultate delle prove valide e convincenti.

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