Carcere di Porto Azzurro: cosa è successo e chi fu coinvolto nella rivolta del 1987

Chiara Esposito

28 Ottobre 2021 - 19:22

La storia del carcere di Porto Azzurro in onda su RaiDue il 28 ottobre; cosa c’è da sapere sulla vicenda narrata nella nuova docuserie.

Carcere di Porto Azzurro: cosa è successo e chi fu coinvolto nella rivolta del 1987

Un carcere sotto sequestro, trattative lunghe e complesse e un epilogo del tutto inaspettato; ecco cosa potrà regalarvi la visione della nuova docuserie «La rivolta di Porto Azzurro», in onda giovedì 28 ottobre su Rai2.

La storia della sommossa di sei ergastolani che nel 1987 misero in ginocchio un’intera prigione viene riletta oggi, a 34 anni di distanza.

In due puntate da 50 minuti in prima serata, gli autori Alessandro Giordano e Emanuele Mercurio invitano il pubblico a scoprire (o riscoprire) una delle pagine più sconvolgenti della storia del sistema carcerario del nostro paese.

Il racconto della vicenda è arricchito da molteplici interviste inedite ai protagonisti di quella manca evasione, primo fra tutti Mario Tuti, il capo dei sovversivi. La sua storia è particolarmente degna di nota ma, prima di tutto, ricostruiamo la sommossa di quel lontano 25 agosto.

La rivolta del carcere di Porto Azzurro: cosa accadde?

Nel suo palinsesto 2021, Rai2 ha scelto di inserire un docufilm capace di ripercorre le tappe chiave della presa degli ostaggi nel penitenziario dell’Isola d’Elba. La drammatica vicenda però merita di essere ricostruita nella sua interezza, in modo tale da chiarire come si sia arrivati ad un simile esito.

Era il 25 agosto del 1987 quando sei detenuti del carcere di Portoferraio decisero di provare con ogni mezzo a raggiungere la libertà oltre le mura del penitenziario isolano.

I criminali, che già da due mesi orchestravano la sommossa, erano rimasti nell’ombra e non vi era il minimo sospetto tra le guardie o tra i funzionari della direzione che si potesse condensare un clima di violenza tanto feroce.

Il primo segnale d’allarme scattò dopo che, alla fine della sua ora d’aria, l’ergastolano e fondatore del Fronte Nazionale Rivoluzionario Mario Tuti, chiese un incontro con il direttore del penitenziario Cosimo Giordano. A pochi minuti dall’inizio di quel colloquio, ecco una pistola alla tempia di Giordano e l’arrivo dei soccorsi. Altri cinque uomini entrarono in azione, ma non si trattava di guardie bensì degli alleati di Tuti. I loro nomi erano Mario Ubaldo Rossi, Mario Marrocu, Gaetano Manca, Mario Cappai e Mario Tolu.

Ciò che li accomunava non era solo la condanna all’ergastolo, ma anche il desiderio di evasione. I criminali presero così in ostaggio 5 civili e 17 guardie iniziando a seviziarne diverse persone o ad usarle come scudo per i possibili attacchi esterni della polizia, intervenuta sul posto poco dopo la richiesta di intervento avanzata dal comandante degli agenti di custodia, il maresciallo Munno.

Il piano dei riottosi era molto semplice: trattare con le istituzioni per evadere dal carcere. Le richieste avanzate dal gruppo alla polizia furono le seguenti: un’auto blindata, un elicottero e un’imbarcazione per allontanarsi in sicurezza da Porto Azzurro.

Iniziarono quindi le prime contrattazioni e il caso tenne con il fiato sospeso i cittadini del luogo e tutti gli italiani. I media della penisola infatti provavano a riferire ogni aggiornamento sul caso. In apparenza però non c’era grande margine di miglioramento e la vicenda si protrasse per otto lunghissimi giorni.

L’epilogo e il processo a Mario Tuti

Ad un tratto tuttavia la tensione svanì poiché un vasto numeri di detenuti del carcere si rifiutò di supportare i sovversivi e la polizia non concesse nessun concreto beneficio ai rivoltosi. I sei uomini a quel punto non avevano alcuno scampo: dovettero consegnare le armi al direttore.

Il primo agosto i rivoltosi asserragliati nel carcere quindi si arresero e tutti gli ostaggi vennero liberati. Iniziarono poi le indagini e di lì a poco anche il processo. Tuti venne condannato ad altri 14 anni di reclusione, reo di aver capeggiato la rivolta.

Nel 2013 però tutto cambiò. La sentenza definitiva è ancora oggi spiazzante e capace di ridefinire la nostra concezione di sicurezza così come quella di giustizia: la pena di Tuti fu commutata in regime di semilibertà.

Oggi, in quelle riprese che ripercorrono i momenti salienti della sollevazione, c’è anche il suo racconto, uno sguardo inedito da vinto (ma forse anche da indebito vincitore) di una lotta paradossale e senza precedenti. Un racconto insomma pregno di significato, tutto da scoprire.

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