Il Capitale nel XXI secolo: Thomas Piketty e la sua storia della disuguaglianza

Simone Casavecchia

27 Maggio 2014 - 09:43

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Un capitalismo dove le rendite finanziarie crescono più velocemente dell’economia stessa può solo portare a una crescita delle disuguaglianze sociali

Il Capitale nel XXI secolo: Thomas Piketty e la sua storia della disuguaglianza

In poco meno di due mesi dalla sua uscita americana è diventato un vero e proprio bestseller, con volumi esauriti su Amazon e un editore statunitense che ha dovuto anticiparne la traduzione per la gran quantità di richieste ricevute. Si tratta de Il Capitale nel XXI secolo , il corposo volume di Thomas Piketty che, oltre a registrare un record di vendite, sta anche accendendo un dibattito economico che tocca entrambe le sponde dell’Atlantico.

Thomas Piketty è un enfant prodige della scienza economica: appena ventenne, Piketty insegnò al prestigioso Massachusetts Institute of Technology di Boston, negli USA, poi preferì tornare in Francia, perché diffidente verso la «deriva matematica» che l’economia americana stava assumendo. Oggi, a 43 anni, insegna all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e all’Ecole d’économie de Paris ed è uno degli esponenti più in vista della nuova generazione di economisti del vecchio continente.

Nel volume che lo sta facendo conoscere al grande pubblico americano, si condensano i risultati di uno studio collettivo iniziato 15 anni fa, che analizza dati sui redditi e dati sui patrimoni. Attraverso lo studio di vari indicatori, che vanno dalle tasse personali sui redditi alle imposte di successione Piketty evidenzia come l’Europa e il Giappone possano essere considerati due esempi chiave per comprendere come si crea una società patrimoniale, in cui contano le ricchezze ereditarie. La bassa crescita economica e la bassa natalità rendono prevalenti le ricchezze accumulate, una tendenza che, dopo essersi prepotentemente affermata nella società capitalistica del XIX secolo, sta riguadagnando terreno in quella attuale.

Che cosa avviene quindi nel capitalismo attuale? Il rendimento netto del Capitale, ivi compreso quello finanziario, viaggia intorno al 4%-5%, ben al di sopra della crescita economica (e demografica) che si attesta intorno all’1%-2%. Un elité molto ristretta di persone trae dei sicuri vantaggi da ciò perché non solo percepisce un compenso che non ha alcun corrispettivo con le mansioni svolte ma vede il proprio benessere e la propria ricchezza aumentare esponenzialmente, contrariamente a quanto accade per la maggior parte della popolazione. Questa situazione viene considerata da Piketty estremamente pericolosa, dal momento che potrebbe determinare un ritorno alle oligarchie e una crescita sempre più consistente delle già marcate differenze sociali presenti nelle società occidentali.

Questa congiuntura è stata evitata per gran parte del Novecento, in particolare nelle fasi di ricostruzione postbellica e nel trentennio che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla fine degli anni Settanta. In questi periodi le disuguaglianze sociali diminuirono per due motivi: perché accanto ad una crescita economica (e demografica) molto accentuata, aumentarono anche le tassazioni per i più abbienti, che furono sottoposti a prelievi fiscali straordinari sui propri patrimoni. Un’altra misura fondamentale che servì a livellare le differenze di reddito fu un forte aumento della tassazione progressiva sui redditi, una misura applicata soprattutto negli Stati Uniti, almeno fino all’avvento della deregulation reganiana.

Nella società attuale si stanno verificando una serie di circostanze che stanno richiamando da vicino il capitalismo ottocentesco: una crescita demografica molto bassa, associata a una crescita economica altrettanto bassa, con disuguaglianze fortemente aumentate negli ultimi anni, a causa di scelte politiche molto discutibili e, conseguentemente, con una distribuzione sempre più iniqua dei capitali all’interno delle società.

A discapito del titolo che richiama, volutamente, quello del più celebre testo marxiano, non vengono teorizzate soluzioni rivoluzionarie, ma viene, piuttosto, auspicata una tassa mondiale sui patrimoni per ridurre la concentrazione di ricchezza nelle mani dell’1% più ricco della popolazione.

Il libro di Piketty è diventato un Best Seller in brevissimo tempo in Francia e USA ma non è ancora stato pubblicato in lingua italiana.

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