Crisi, disoccupazione: a cosa è dovuto questo fenomeno? Quattro cause da analizzare

Silvia Lambiase

19 Settembre 2012 - 15:14

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Crisi, disoccupazione: a cosa è dovuto questo fenomeno? Quattro cause da analizzare

Con tassi di disoccupazione del 10.2% in Italia e Francia, dell’8.1% nel Regno Unito e del (drammatico) 25.1% in Spagna, la disoccupazione, specialmente quella di lungo periodo, è una delle realtà più preoccupanti che l’Europa sta cercando di combattere senza molto successo.

Ma a cosa è dovuto questo fenomeno?

A seconda dei vari tipi di disoccupazione (frizionale, ciclica, stagionale, strutturale o nascosta) la teoria economica ha offerto diverse spiegazioni, tra cui quella comune a tutti i tipi di disoccupazione è la insufficiente domanda aggregata di lavoro da parte delle imprese.

Il CEPR (Centre for Economic Policy Research), un’organizzazione di ricerca economica di Londra, ha pubblicato uno studio intitolato Unemployment: Choices for Europe, in cui gli autori analizzano cause e possibili soluzioni al problema dei persistenti elevati tassi di disoccupazione.

Spiegazioni diffuse sono il progresso tecnologico e la competizione con lavoratori internazionali.

Per quanto riguarda quest’ultima, è luogo comune pensare che i paesi più poveri abbiano “rubato” il lavoro nei paesi industrializzati. Tuttavia Ricardo, economista inglese vissuto nel 1800, sviluppò la teoria dei cosiddetti “ vantaggi comparati” per spiegare i benefici del commercio internazionale, secondo la quale un’economia si specializzerà nel settore in cui ha un vantaggio comparato. L’accesso a beni più economici dovrebbe permettere l’Europa a “spostare” le risorse nel settore in cui ha appunto un vantaggio comparato.

Il progresso tecnologico

Il concetto, invece, di al progresso tecnologico e all’innovazione come elementi che “distruggono” il lavoro tradizionale, non è convincente in quanto al contrario la tecnologia crea sempre nuovi lavori (basti pensare a lavori «estinti» e a figure professionali nate di recente); inoltre secondo lo studio, la produttività del lavoro oggi è dieci volte più alta di quella all’inizio del 1900, tuttavia il tasso di disoccupazione non è poi così diverso.

Bassa produttività

Il report afferma che il problema con l’Europa non è tanto il rapido tasso di progresso tecnologico, quanto piuttosto il contrario: il tasso di crescita dela produttività e dell’output, infatti, è minore oggi di quello registrato durante la Golden Age, prima del 1973. Questo rallentamento riduce i rendimenti derivanti dal creare nuovi lavori e, di conseguenza, aumenta la disoccupazione.

L’evidenza empirica, in effetti, dimostra che nei paesi in cui si è registrato un rallentamento della produzione, si è verificato nel contempo un aumento della disoccupazione. Lo studio afferma inoltre che, a riguardo, il tasso di cresita della produzione nell’Europa del dopoguerra era solo un temporaneo effetto della ricostruzione e che, quindi, era inevitabile che l’alto tasso di occupazione registratosi negli anni ’60 non durasse.

Occupazione di lunga durata

Il report analizza poi le cause dell’occupazione di lunga durata, individuandola possibilmente nel generoso sistema di welfare europeo. Gli autori rifiutano questa ipotesi, sostenendo che durante la Golden Age la disoccupazione in Europa era metà di quella americana. Tale sistema può però cotribuire alla permanenza degli alti tassi.

Rigidità del mercato europeo del lavoro

Il risultato a cui perviene lo studio è che non è possibile determinare le cause dell’attuale disoccupazione in Europa, e che non è facile implementare riforme del mercato del lavoro in paesi democratici. Potrebbero infatti esserci più sconfitti che vincitori e le rigidità del mercato europeo (salari minimi, generosi sussidi di disoccupazione, alti costi di licenziamento e sindacati forti) non permettono un facile cambiamento dell’equilibrio politico.

Riforme

Gli autori suggeriscono delle riforme politicamente realizzabili e economicamente desiderabili che mirino a:

- una riduzione della durata dei sussidi di disoccupazione

- ridurre il salario minimo e concedere piuttosto benefici ai lavoratori, specialmente quelli giovani, per combattere la povertà

- ridurre il costo per l’impiego di personale non qualificato

- aumentare la competizione dei mercati del lavoro

- offrire ai disoccupati di lunga durata la possibilità di convertire i propri benefici in “coupon” di lavoro.

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