Contratto a tempo determinato: regole, durata, proroga e licenziamento

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I contratti di lavoro a tempo determinato sono una tipologia di contratti subordinati in cui è presente anche la data in cui terminerà la collaborazione.

Contratto a tempo determinato: regole, durata, proroga e licenziamento

Le tipologie dei contratti di lavoro sono molteplici, ma si possono dividere in due: contratti a tempo determinato e indeterminato. Se quelli indeterminati hanno una durata indefinita nel tempo, al contrario i contratti a tempo determinato hanno una data precisa di fine, dopo la quale potranno venire rinnovati o meno a seconda di diverse situazioni.

Per via di questa differenza sostanziale, questa tipologia di accordi lavorativi segue delle regole in parte dissimili rispetto ai contratti indeterminati, in particolare per quel che riguarda proroghe e rinnovi.

Come vengono regolati

A partire dal 2018 i contratti a tempo determinati seguono le regole previste dal decreto legge n. 87/2018, convertito dalla Legge n. 96/2018, più comunemente conosciuto con il nome di “decreto dignità”, che è andato a modificare parzialmente le norme precedenti parte del Jobs Act.

In particolare, a partire dal 14 luglio 2018, a venire regolati dal decreto dignità sono le pratiche relative ai rinnovi e le proroghe per i tempi determinati. Per quel che riguarda invece i diritti previsti per il dipendente a tempo determinato, questi sono gli stessi dei tempi indeterminati, il che significa che si avrà sempre diritto, tra le altre cose, a:

  • tredicesima;
  • Tfr;
  • malattia;
  • periodo di maternità e congedo parentale.

Contratto a tempo determinato: durata

Tranne che per i contratti con durata massima di 12 giorni, è necessario che all’interno del contratto a tempo determinato sia sempre presente il termine ultimo di fine collaborazione, a partire dal momento della stipula. Questo potrà avere una durata, come contratto a tempo determinato, di massimo 12 mesi, che al verificarsi di determinate situazioni potrà venire prorogato per altri 12 mesi, arrivando così a un massimo di 24.

Le situazioni in cui questo può avvenire sono:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
  • esigenze sostitutive di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Per il raggiungimento dei 24 mesi sono considerati anche i rapporti in somministrazione presso lo stesso datore di lavoro/utilizzatore (agenzia/azienda) con mansioni di pari livello.

Il datore di lavoro potrà quindi scegliere di rinnovare nuovamente il dipendente per un massimo di 24 mesi, solo al verificarsi di una di queste situazioni. L’obiettivo del legislatore dietro a questa scelta è dato dal fatto che, nel momento in cui il datore di lavoro, trascorsi 12 mesi di contratto determinato, si trovi ad avere bisogno del dipendente per un periodo maggiore per motivi ordinari, sarà portato a trasformare il contratto da determinato a indeterminato, almeno in teoria.

Regole dei rinnovi per il contratto a tempo determinato

Con il decreto dignità le proroghe e i rinnovi possibili sono passati da un massimo di 5 a 4, sempre entro un massimo dei 24 mesi previsti in precedenza e sempre con il consenso del dipendente. Non è possibile, per l’azienda o il datore di lavoro, prorogare o rinnovare il contratto senza che l’interessato dia il suo consenso. Inoltre, nel momento in cui viene superato il numero massimo di proroghe, allora il contratto diventerà automaticamente a tempo indeterminato.

Proroga e rinnovo non hanno lo stesso significato, infatti:

  • proroga: è un accordo di prosecuzione del contratto già esistente, senza interruzione del rapporto lavorativo;
  • rinnovo: è un nuovo contratto che viene stipulato in una data successiva alla fine del precedente.

Se la proroga quindi supera le quattro volte alla data di decorrenza della quinta proroga si trasforma automaticamente in contratto a tempo indeterminato. In questo caso si deve fare riferimento alla stessa attività lavorativa. Si può superare il limite dei 24 mesi, e prorogare il contratto per 12 mesi ulteriori, solo con la cosiddetta deroga assistita. Il nuovo contratto infatti dovrà essere sottoscritto presso la sede territorialmente competente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Per il rinnovo del contratto a tempo determinato invece resta il limite massimo dei 24 mesi, ma, al contrario della proroga, può avvenire per un numero indefinito di volte. Per i rinnovi del contratto a tempo determinato tuttavia la causale va apposta fin dal primo e bisogna rispettare un intervallo di tempo specifico che deve trascorrere tra i due contratti stipulati tra le stesse parti:

  • 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;
  • 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.

In questo caso, se l’intervallo di tempo per i rinnovi del contratto a tempo determinato non viene rispettato lo stesso si trasforma in indeterminato.

Si è detto della causale e specifichiamo che in caso di proroga questa non trova applicazione:

  • con i contratti per attività stagionali per la generalità delle attività;
  • per le pubbliche amministrazioni sono soggette a una disciplina particolare che prevede l’applicazione della normativa previgente al Decreto Dignità (art. 36 del D.lgs. n. 165/2001).

Come funziona la proroga di fatto

Nel caso in cui contratto di lavoro a tempo determinato dovesse proseguire oltre la scadenza del termine stabilito ci si trova in una situazione detta di “proroga di fatto”. Il lavoro prosegue di fatto:

  • per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi);
  • per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi).

Il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al dipendente una maggiorazione sulla retribuzione per ogni giorno di lavoro oltre il termine stabilito:

  • al 20% fino al decimo giorno successivo,;
  • al 40% per ciascun giorno ulteriore.

Oltre i limiti sopra stabiliti dei 30 e 50 giorni il contratto a tempo determinato si trasforma in indeterminato.

Limiti e diritto di precedenza

Per quel che riguarda i limiti previsti per i datori di lavoro nella stipula dei contratti a tempo determinato: il numero non può essere superiore al 20% del numero dei dipendenti a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con un arrotondamento per eccesso se il decimale è uguale o superiore a 0,5. Per le aziende fino a 5 dipendenti è possibile stipulare almeno un contratto a tempo determinato.

Nel caso in cui il datore di lavoro non rispettasse le regole previste, incorrerà in una sanzione amministrativa pari al:

  • 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca a un solo lavoratore assunto in eccedenza al limite stabilito;
  • 50% della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza.

Sussistono delle situazioni in cui, però, non viene applicato il limite nel numero dei contratti a termine, ovvero:

  • fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva;
  • startup innovative;
  • sostituzione di personale assente;
  • attività stagionali;
  • spettacoli;
  • programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di specifiche opere audiovisive;
  • contratti a tempo determinato stipulati con lavoratori di età superiore a 50 anni.
  • enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.

Per i dipendenti a tempo determinato che hanno almeno i 6 mesi di lavoro, inoltre, è previsto il diritto di precedenza. In questo caso il lavoratore, assunto con contratto a tempo determinato per almeno 6 mesi, ha diritto di precedenza sulle nuove assunzioni dell’azienda per le stesse mansioni nei 12 mesi successivi alla conclusione del rapporto di lavoro.

L’azienda, inoltre, deve sempre rispettare il principio di non discriminazione, avendo l’obbligo di impartire al lavoratore a termine una formazione specifica demandata alla contrattazione collettiva.

Dimissioni e licenziamento

Il dipendente a tempo determinato può essere licenziato, prima della scadenza del contratto stesso, solo per giusta causa, ovvero per un motivo di una gravità tale da non poter consentire che il rapporto di lavoro prosegua.

Nel caso in cui il datore di lavoro procedesse al licenziamento per altri motivi dovrà corrispondere al lavoratore il risarcimento del danno. Lo stesso, tuttavia, vale per le dimissioni del dipendente: queste potranno avvenire solo per giusta causa per poter accedere alla disoccupazione.

Contratto a tempo determinato e disoccupazione

In caso di dimissioni prima del termine del contratto, si potrà accedere alla disoccupazione solo nel caso in cui queste siano avvenute per giusta causa. Inoltre l’accesso all’indennità di disoccupazione Naspi non è previsto in caso di dimissioni volontarie del lavoratore, non solo per i contratti a tempo determinato. In ogni caso, in caso di licenziamento e scadenza naturale del rapporto di lavoro, il dipendente con contratto a tempo determinato ha comunque accesso alla disoccupazione.

Per finanziare la disoccupazione Naspi del lavoratore con il contratto a tempo determinato (cui accede se lo stesso non viene trasformato trovandosi senza un’occupazione) è prevista un’aliquota contributiva aggiuntiva a carico del datore di lavoro pari all’1,4% che gli viene restituita in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato. La misura di tale contributo è incrementata dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo.

L’impugnazione del contratto a tempo determinato può avvenire entro 180 giorni dalla cessazione del singolo contratto.

Contratto a tempo determinato e congedo di maternità e parentale

La dipendente con contratto a tempo determinato ha diritto, al pari di coloro con contratto a tempo indeterminato, al congedo di maternità obbligatorio.
Anche con il contratto a termine con il congedo di maternità viene corrisposta un’indennità pari all’80% della retribuzione a carico dell’Inps (e anche con un’integrazione da parte del datore di lavoro se lo prevede il Ccnl).

La dipendente con contratto a tempo determinato ha diritto al congedo di maternità anche se il rapporto di lavoro scade durante lo stesso o cessa prima a patto che tra la disoccupazione e il congedo di maternità non siano trascorsi più di 60 giorni.

Con il contratto a tempo determinato i periodi di astensione obbligatoria per le dipendenti in congedo di maternità devono computarsi per la maturazione del diritto di precedenza.

Inoltre, il congedo parentale, ovvero il periodo di astensione facoltativa dal lavoro da parte dei genitori, è previsto sia per la madre, sia per il padre.

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