Dal Fiscal Compact all’ERF, ecco come l’Italia rischia di perdere tutti i suoi beni

Vittoria Patanè

30 Maggio 2014 - 15:09

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Dopo il Fiscal Compact potrebbe arrivare l’ERF, il Fondo di Redenzione Europea, che potrebbe costarci caro. Il rischio? La vendita del nostro patrimonio nazionale. Ecco che cos’è e cosa prevede

Dal Fiscal Compact all’ERF, ecco come l’Italia rischia di perdere tutti i suoi beni

C’è una cosa di cui siamo assolutamente sicuri: i vertici europei non si annoiano mai. Ogni giorno infatti da Bruxelles arriva una novità diversa. Prima il Fiscal Compact e i suoi assurdi parametri, poi il TTIP portato avanti nella massima segretezza, ma che potrebbe sconvolgere totalmente le vite dei cittadini europei, abolendo regole e uniformando leggi allo scopo di creare un mercato comune tra USA e UE.
Ora arriva l’ultima ideona escogitata dai burocrati comunitari per costringere gli Stati Membri a rispettare i propri impegni. Si chiama ERF, acronimo di European Redemption Fund (Fondo Europeo di Redenzione) e ci costringerà ad utilizzare il nostro patrimonio nazionale, dalle aziende all’oro, come garanzia per la creazione di una sorta di eurobond.
Ma andiamo con ordine.

Che cos’è l’ERF?
Il Fondo Europeo di Redenzione rappresenta una specie di “evoluzione” del Fiscal Compact. Gli Stati Membri che hanno un debito pubblico superiore al 60% del PIL (l’Italia è al 133%) fanno conferire all’interno del Fondo la parte eccedente il limite imposto dal Trattato di Maastricht del ‘92 in primis, da quello di Lisbona in secundis, e dal Fiscal Compact per completare l’opera.

Parlando dell’Italia, secondo un’analisi condotta da alcuni esperti tedeschi, il nostro Paese dovrebbe quindi contribuire per il 40% che si traduce in 950 miliardi di euro (almeno).

Nello stesso tempo, l’ERF, per finanziarsi, emetterà sul mercato dei capitali una sorta di Eurobond e, grazie alla tripla A concessa dalle agenzie di rating alle emissioni della UE, i tassi saranno decisamente più bassi.

Ma ovviamente tutto questo avrà un prezzo. Ogni Nazione dovrà infatti porre come garanzia i propri beni patrimoniali. Nel nostro caso parliamo di aziende come Eni, Enel, Finmeccanica, ma anche di riserve valutarie, di riserve auree e di una parte del gettito fiscale.

Detto in poche parole: se l’Italia non riuscirà a rispettare i parametri imposti dal Fiscal Compact (che prevede di ridurre annualmente il rapporto debito/PIL di un 20esimo della parte eccedente per i prossimi 20 anni), l’UE potrà utilizzare i suoi beni patrimoniali per far calare “forzosamente” il debito pubblico.

Una sorta di asta in cui lo Stato debitore rinuncerà ai propri fiori all’occhiello in nome di un valore che ormai in Europa sembra diventato religione: la riduzione del debito pubblico.

Per la cronaca, ogni anno l’eccedenza nostrana di debito ammonta a circa 1.170 miliardi di euro, pari al 73% del PIL.

Le norme comunitarie
Insomma nel caso in cui l’ERF andasse in porto, l’Italia rischierebbe di mettere nelle mani dell’Unione Europea anche l’ultimo residuo di sovranità nazionale rimasta, rappresentato dal suo patrimonio mobiliare e immobiliare.

Questo potrebbe succedere proprio mentre nel nostro Paese continua la polemica relativa al Fiscal Compact e a quei parametri troppo rigidi che bloccherebbero, secondo il parere di molti, qualsiasi possibilità di ripresa.

Beppe Grillo ha più volte parlato di un patto che “ammazza l’Italia”; Berlusconi, dopo aver partecipato alla sua redazione, ha candidamente proposto di non rispettarlo, il Premier Renzi voleva sfruttare il margine del 3% del deficit per finanziare alcune misure volte a far ripartire il Paese, idea subito rientrata dopo le minacce e le proteste arrivate dai vertici europei.

Per tutta risposta, questi limiti rischiano di essere rafforzati e il prezzo da pagare se non verranno soddisfatti potrebbe essere ancora più alto.

Ma forse è meglio concludere con una battuta: speriamo almeno che non si vendano pure il Colosseo, dei centurioni “tedeschi” o “americani” non si potrebbero proprio guardare.

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