Critica ad Alberto Alesina su disuguaglianza economica e merito

Christian Dalenz

12/08/2015

21/08/2015 - 15:48

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Il professore di Harvard dice la sua su un tema scottante: quello della disuguaglianza economica e del merito in relazione alla tassazione dei «ricchi» e il sostegno statale ai «poveri». E’ coerente il suo discorso?

Critica ad Alberto Alesina su disuguaglianza economica e merito

In un editoriale del 19 Giugno sul Corriere della Sera, il professore Alberto Alesina (Harvard University) ha svolto alcune critiche al modo in cui eminenti economisti come Paul Krugman, Joseph Stiglitz (premi Nobel) e Thomas Piketty (autore del best-seller Il Capitale nel XXI Secolo, a cui abbiamo accennato qui) affrontano il tema delle disuguaglianze economiche (tema su cui di recente è uscito uno studio di economisti FMI, che abbiamo riassunto qui).

Il punto centrale delle argomentazioni di Alesina è che la disuguaglianza economica rappresenta un forte incentivo al merito: persone in situazioni economiche meno vantaggiose possono trarre dalla loro condizione motivazione per migliorare la propria condizione e creare novità imprenditoriali: a tal proposito, uno degli esempi che il professore fa è quello di Steve Jobs con la sua Apple.
La mobilità sociale è il motore attraverso il quale questa buona volontà può trovare uno sbocco.

Secondo Alesina, non è una buona soluzione tassare i ricchi (come consiglia Piketty nelle sue opere), in quanto ciò rappresenterebbe un disincentivo al merito. Come esempio della giustezza di questo ragionamento, secondo il professore sarebbe sbagliato tassare le case farmaceutiche che tanti profitti hanno fatto negli ultimi anni, perché ciò ne diminuirebbe la capacità di fare ricerca e sviluppo. E per quanto riguarda la «la minoranza che non riesce, nonostante l’impegno, a partecipare alla competizione» è lo Stato sociale che deve intervenire per proteggerla.

Per rispondere ad Alesina, in primo luogo va fatto presente che le disuguaglianze economiche, ad un alto livello, rappresentano esattamente un blocco nella mobilità sociale, come ricorda anche lo studio FMI di cui avevamo scritto.

Sull’asse verticale di questo grafico è rappresentato il livello di immobilità sociale; sull’asse orizzontale, il livello di disuguaglianza reddituale presente all’interno del Paese considerato (rappresentato con la bandiera del Paese stesso):

Si può verificare come a maggiore disuguaglianze corrisponda maggiore immobilità sociale; i Paesi in questo senso più problematici, tra quelli avanzati qui raffigurati, sono l’Italia, il Regno Unito e gli USA.

Al di là di questa correlazione statistica, da tenere presente nei dibattiti su questo tema, il discorso di Alesina contiene in sè significative aporie.

Il professore di Harvard è stato negli ultimi anni forte (se non primo) sostenitore della tesi dell’austerità espansiva, secondo la quale è opportuno procedere ad un consolidamento fiscale (ovvero, ad un abbassamento dei livelli di deficit e debito pubblico) in particolar modo attraverso tagli di spesa pubblica, da cui non va esclusa, anzi dovrebbe essere a suo avviso determinante, il taglio della spesa sociale: tagli che sono avvenuti in maniera significativa, negli Stati UE, negli ultimi anni (N.B. Si tratta peraltro di una ricerca che ha dimostrato molte fallacie. Mi sono personalmente occupato delle tesi di Alesina e delle critiche che ha ricevuto in campo accademico qui).

Se queste erano le tesi del professore in alcuni suoi studi negli anni passati, come mai ora per rendere coerente il suo discorso diventa improvvisamente sostenitore dello Stato sociale?

Ancora, in questo editoriale Alesina sembra elogiare sanità e scuole europee, «pressocchè gratuite»....eppure lui, insieme ad altri colleghi quali Michele Boldrin e Luigi Zingales, è noto per sostenere, di solito, l’efficacia del sistema privatizzato di sanità e scuole americane. Come sappiamo la sanità americana è stata riformata da Barack Obama perché intervenisse nei fallimenti del mercato in modo tale da essere provvista a tutti: dunque il modello privatizzato non è poi così efficiente.

Mi permetto anche di segnalare che parlare di «minoranza che non riesce a partecipare alla competizione» potrebbe sviare dal considerare adeguatamente la consistenza di questa «minoranza». Sempre secondo lo studio FMI da noi riassunto, abbiamo infatti circa il 15% della popolazione delle economie avanzate in condizioni di povertà (dove è anche aumentata dal 2000), cifra che rappresenta milioni di persone, per non parlare delle economie subsahariane dove il tasso di povertà arriva al 70% circa.

Sarebbe bene inoltre ricordare che proprio lo Steve Jobs ricordato da Alesina non avrebbe potuto immettere sul mercato prodotti come l’Iphone e l’Ipod senza il supporto di ricerca e sviluppo di organizzazioni statali. Questo spiega magistralmente l’economista Mariana Mazzucato nel suo libro «Lo Stato innovatore», dove mostra come quasi tutti i componenti di questi strumenti elettronici derivano da progetti di ricerca di agenzie governative USA.

Dal libro della Mazzucato si apprendono altre informazioni che smentiscono il senso del discorso di Alesina sulle case farmaceutiche: infatti l’economista italo-americana mostra come le case farmaceutiche, nell’ultimo decennio, abbiano fatto poca ricerca e sviluppo (addirittura si sono moltiplicati i farmaci fotocopia, nuovi prodotti immessi nel mercato identici ad altri già esistenti), e i loro profitti di questi anni sono più che altro derivati da operazioni finanziarie.

Desidero qui segnalare un’altra risposta, molto interessante, che è stata svolta nei confronti dell’editoriale di Alesina, da parte di Luca Fierro (Rethinking Economics), che mostra come in uno studio citato dallo stesso Alesina si conferma la correlazione tra immobilità sociale e disuguaglianze economiche, e dove si sostiene che sarebbe più auspicabile un sistema di istruzione pubblica piuttosto che un sistema privatizzato basato sul mercato del credito: questo in ragione di una crisi economica che ha visto nell’eccesso di debito privato la sua causa scatenante. Proprio negli ultimi anni si sono moltiplicati gli allarmi riguardo l’eccesso di debito a cui devono far fronte gli studenti americani per poter frequentare le università del loro Paese.

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